Il giorno dopo la sentenza che ha condannato Uber Eats per condotta anti sindacale per aver omesso di attuare le procedure di consultazione con le organizzazioni sindacali per la cessazione delle attività in Italia, facendo così revocare quasi 4 mila licenziamenti, il colosso mondiale delle consegne di cibo annuncia ricorso.

Ma 24 ore dopo esce con tutta la sua forza l’importanza della prima sentenza – le 49 pagine firmate dal giudice Luigi Pazienza – che di fatto si mette contro una vera e propria delocalizzazione.
Il successo giudiziario dei sindacati Nidil Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil di Milano ha una doppia valenza. Da una parte si basa sul mancato rispetto delle procedure di confronto in materia di licenziamento collettivo ma dall’altro è il primo caso di utilizzo della legge contro le delocalizzazioni – in realtà piuttosto blanda – fatta dal governo Draghi.

«La sentenza del Tribunale di Milano sui 4.000 rider licenziati illegittimamente da Uber Eats dimostra che avevamo ragione a introdurre regole e sanzioni più severe per le delocalizzazioni selvagge, aumentando le garanzie per i lavoratori. Trova applicazione una norma che ho fortemente voluto senza grandi entusiasmi, per utilizzare un eufemismo, nello scorso governo da parte della destra e di alcune forze produttive», commenta l’ex ministro del Lavoro e deputato Pd Andrea Orlando.

«È una sentenza di straordinaria importanza – commenta Nicola Marongiu, coordinatore dell’Area Contrattazione della Cgil – nessuna azienda può sottrarsi in Italia alla norma del 2021 sulle delocalizzazioni, quindi, quando le imprese cessano integralmente le attività sul territorio nazionale, sono obbligate a darne informativa preventiva alle organizzazioni sindacali nei 180 giorni precedenti. Il punto è fondamentale perché, nell’ottica di prevenire le crisi occupazionali che si determinano con i processi di delocalizzazione, nessuna impresa può sottrarsi a questa previsione. In più – continua Marongiu – è altrettanto importante l’affermazione del giudice secondo la quale “a prescindere dalla qualificazione del rapporto di lavoro (la sentenza riconosce il carattere subordinato ma vale anche per gli eterorganizzati) vanno attivate le procedure sui licenziamenti collettivi, mentre Uber lo ha fatto solamente per i 49 dipendenti diretti e non per gli oltre 8000 rider che con l’azienda hanno lavorato».

«Un altro aspetto che va sottolineato – spiega l’avvocato Carlo de Marchis, che insieme a Matilde Bidetti e Sergio Vacirca forma il collegio della Cgil – è che anche le carte sociali europee prevedono come gli ammortizzatori sociali debbano coprire tutti i lavoratori: ora avranno diritto alla Cig e alla Naspi. In questo caso Uber Eats dovrà riconoscere a tutti almeno 5 mensilità arretrate più quelle previste dalla legge sulle delocalizzazioni». Un salasso per il colosso del food delivery: anche stimando solo 500 euro di stipendio mensile per 4 mila rider, il totale si aggira sui 20 milioni di euro.