«Tutto verrà deciso questa estate. La Russia sta colpendo le posizioni degli ucraini ogni giorno per indebolirle e quando arriverà la primavera Mosca certamente aumenterà l’attività militare». Non ha dubbi l’Alto rappresentante per gli affari esteri europei Josep Borrell, che in poche frasi spiega perché negli ultimi giorni abbiamo l’impressione di assistere a un’escalation costante. Non solo sul campo, ma nelle alte sfere della diplomazia globale, nelle dichiarazioni dei capi di stato e persino nell’ostruzionismo dei partiti e dei politici che usano la guerra come arma elettorale.

CHI HA SEMPRE sostenuto Kiev ora sa che è il momento più duro, forse decisivo. Senza munizioni, senza armi e mezzi i soldati ucraini si troveranno da soli ad affrontare i russi in inferiorità numerica, male armati ed esauriti a livello mentale prima che fisico. Non dipende solo dal tempo trascorso, seppure due anni siano un’infinità di ore in prima linea, ma ha una serie di cause precise portate allo scoperto dalla decisione dei senatori repubblicani statunitensi di bloccare i 61 miliardi di fondi straordinari per le forniture belliche all’Ucraina.

Primo: il fallimento della controffensiva ucraina dell’anno scorso. Per mesi l’Occidente ha inondato i depositi delle forze armate di Zelensky di ogni tipo di armamento. I funzionari ucraini si sono infuriati più volte contro chi chiedeva quando sarebbe iniziata la riscossa. «Non è un film» aveva risposto Zelensky, che pure dall’inizio della guerra è riuscito a trasformare ogni momento decisivo in uno show che ha convinto le opinioni pubbliche dei Paesi della Nato a «non voltarsi dall’altra parte». Ma la controffensiva è andata male, Zelensky ha incolpato il suo comandante in capo Zaluzhny, che nel frattempo ha criticato sulle colonne dell’Economist le scelte del presidente. Gli Stati Uniti sono rimasti molto insoddisfatti di come Kiev avesse impiegato, o sprecato, tutto l’arsenale che Washington in prima persona aveva raccolto tra gli alleati.

Intanto ad Avdiivka, simbolo della lotta contro i separatisti del Donbass fin dal 2014, si combatteva furiosamente. Alla fine dell’anno l’ultima tegola: il principale sponsor dell’esercito ucraino, gli Usa, non sono riusciti a decidersi per i nuovi aiuti militari. Nei successivi tre mesi Zaluzhny è stato fatto fuori e inviato a Londra come ambasciatore (cioè in esilio), Avdiivka è caduta lasciando un vuoto nelle linee difensive ucraine e i soldati in prima linea si sono accorti di non avere più munizioni nelle casematte mentre i russi hanno messo in campo migliaia di nuovi droni e bombe. Dunque, non solo le previsioni sullo svuotamento degli arsenali di Mosca erano sbagliate, ma anche lo scherno riservato ai reparti di neocoscritti russi.

VOLENTE O NOLENTE (e ammesso che sopravviva) dopo mesi di battaglie anche la recluta peggiore impara a stare in guerra e, nonostante in genere siano più restii ai cambiamenti, i loro ufficiali si adattano al terreno e alle tattiche del nemico. È di ieri la notizia che i russi hanno occupato anche Orliivka, pochi km a ovest dell’attuale linea del fronte. L’avanzata dei soldati del Cremlino non si è fermata.

CI SAREBBERO 150mila uomini pronti ad attaccare a est, considerando solo le prime linee. Per questo l’annuncio del ministro della difesa tedesco Boris Pistorius al vertice del Gruppo di contatto Nato di Ramstein devono essere state come la proverbiale manna per Zelensky: «500 milioni di euro di munizioni, mezzi corazzati e di trasporto». Senza munizioni la guerra non si può combattere e Kiev ne è a corto.
Per lo stesso motivo l’accusa del direttore dei servizi segreti esteri russi (Svr) Sergei Naryshkin alla Francia di star «già preparando un contingente da inviare in Ucraina che nella fase iniziale, ammonterà a circa 2.000 persone» non è dissonante dal contesto. Per mesi i membri della Nato hanno accusato il Cremlino di propaganda, ma improvvisamente da un paio di settimane sembra che tutti diano per assodata la presenza di soldati francesi, inglesi e statunitensi in Ucraina. I loro compiti sarebbero quelli di assistenza agli armamenti e agli ufficiali e non di combattimento, ma un passo alla volta, una crisi diplomatica dopo l’altra, l’escalation diventa sempre più reale e nel mezzo, chi paga sono i civili nelle zone di combattimento.