Educare. Non punire. Se l’abbandono scolastico fosse solo una questione di legalità e ordine pubblico, come sembra voler suggerire il governo, sarebbe addirittura una buona notizia. E invece è una questione di povertà materiale e culturale, di salute mentale, di vite al margine e di disagio. È, spesso, una questione legata a vite dolorose e sofferenti.

Mandare in carcere i genitori i cui figli non vanno a scuola non affronta il problema. È uno slogan facile, tradizionalmente caro alle destre, per alzare la voce, creare nuove e ulteriori esclusioni e non risolvere niente. Una risposta ideologica ed inefficace.
Con il decreto Caivano il governo pensa di inasprire le pene, fino a recludere chi non manda i figli a scuola? A queste ragazze e ragazzi ci penseranno le mafie. Ed ecco come con questa scorciatoia ideologica non si risolve il problema ma lo si aggrava: aumenta lo spazio di agibilità della criminalità organizzata che speculerà ancor di più sulla povertà e rafforzerà il suo consenso.

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Al governo Meloni vorrei suggerire azioni semplici e sicuramente più efficaci di continuare ad affollare le carceri. I comuni e le scuole hanno bisogno di risorse strutturali: per aprire e gestire le mense, i trasporti, i servizi lì dove non ci sono e aumentare dappertutto il tempo scuola; per potenziare i servizi sull’inclusione dei ragazzi e delle ragazze con bisogni educativi speciali, spesso i più fragili e i più esposti all’abbandono; per rendere, sul piano edilizio, accoglienti e sicuri i luoghi dell’istruzione; per aumentare l’offerta formativa, ludica e culturale oltre l’orario scolastico, con scuole aperte e partecipate diffuse su tutto il territorio nazionale, che fungano da poli civici di comunità, ovunque ma soprattutto in quei contesti in cui o c’è la scuola o non c’è nulla; per valorizzare e garantire migliori condizioni ai docenti, che troppo spesso lasciati soli nell’essere l’avamposto dello Stato in territori difficili.

Per dare solo un’idea: un genitore in carcere per due anni costerebbe allo stato oltre 110.000 euro. Se il governo desse ai comuni questi soldi, dopo anni di tagli alla scuola pubblica, saremmo più forti nel combattere la dispersione scolastica.
Si governa con atti veri, non propagandistici.

*L’autrice è assessora alla Scuola, Formazione, Lavoro di Roma Capitale