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Latina, la riforma Nordio cancella l’inchiesta Olimpia. La destra esulta

Latina, la riforma Nordio cancella l’inchiesta Olimpia. La destra esulta

La sentenza Tra i 29 imputati l’ex tesoriere di Fdi alla Camera Pasquale Maietta, il collega di partito ed ex sindaco Giovanni Di Giorgi, l’ex assessore Giuseppe Di Rubbo (Fi)

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 5 ottobre 2024

Con l’abrogazione del reato di abuso in atti d’ufficio voluta dalla riforma Nordio, gli imputati possono chiedere l’emissione di sentenza di «non doversi procedere» perché il reato non è più previsto dalla legge. Cosa puntualmente avvenuta a Latina, città dove sono state elette l’attuale presidente del Consiglio nelle politiche del 2018 e l’attuale presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Chiara Colosimo, nel 2022.

Nei giorni scorsi il tribunale di Latina ha assolto tutti i 29 imputati nel cosiddetto processo Olimpia, dove venivano contestati reati in materia urbanistica, falso in atti d’ufficio, turbativa d’asta pubblica e concussione, aggravati dall’associazione a delinquere. Tra i 29, l’ex parlamentare ed ex tesoriere di Fratelli d’Italia alla Camera Pasquale Maietta (imputato in altri processi, avviati verso la prescrizione), l’ex sindaco del capoluogo pontino Giovanni Di Giorgi (prima An, poi Pdl e infine FdI), l’ex assessore all’Urbanistica Giuseppe Di Rubbo (Fi), alcuni dirigenti e funzionari comunali, professionisti e imprenditori tra i quali l’allora presidente del Latina calcio Paola Cavicchi: squadra che militava in B, con Maietta che in quel momento ne era l’azionista di maggioranza.

Per gli amministratori pubblici, sia politici che dipendenti comunali, è arrivata l’assoluzione piena (reato abolito), mentre per i professionisti e gli imprenditori c’è stato il «non doversi procedere per intervenuta prescrizione». Il processo di primo grado si trovava infatti ancora all’inizio della fase dibattimentale, dato che la prima udienza si era tenuta dopo quasi 5 anni dagli arresti degli imputati. Gli stessi poi erano stati rimessi in libertà da una sentenza del tribunale del Riesame di Roma che aveva lasciato in piedi solo uno dei tre filoni sviluppati dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Latina e dal pm Giuseppe Milano della Procura di Latina. Anche questo filone è ora finito nel nulla.

La sentenza è stata accolta dagli applausi degli imputati in aula e dalla visibile soddisfazione di tutti gli avvocati difensori impegnati in questi anni a richiedere sistematicamente alla Corte (cambiata più volte nella sua composizione) rinvii per «legittimo impedimento». Alcuni degli imputati, peraltro, non hanno mai smesso di fare politica e visto che con l’assoluzione resta immacolata la loro fedina penale, potranno ricandidarsi alle prossime elezioni. È l’ennesimo fallimento della giustizia italiana, peraltro in una città investita da inchieste giudiziarie che hanno disvelato rapporti strettissimi tra la criminalità organizzata locale e vari esponenti politici, professionisti e imprenditori.

Dopo gli arresti e le manifestazioni dei cittadini davanti alla questura per ringraziare le istituzioni, Latina si trova ad attendere impotente le prossime assoluzioni e prescrizioni. Come ha spiegato il gip nell’ordinanza dell’ormai defunta inchiesta Olimpia, l’ex tesoriere di FdI alla Camera aveva organizzato un «sistema fraudolento imperniato sulla costituzione di cooperative tra cui delle cartiere su cui far ricadere in toto gli obblighi contributivi e previdenziali che avrebbero dovuto sostenere le società effettivamente operative».

Attraverso prestanome, ogni due o tre anni le medesime coop venivano svuotate, fatte fallire e rimpiazzate con altre che avevano gli stessi dipendenti ma sedi in altre provincie, rendendo molto difficile per l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza concludere gli accertamenti fiscali. Venivano realizzati profitti milionari che in parte andavano alle imprese che usufruivano del «servizio», in parte finvano in Svizzera da dove rientravano per essere immessi nelle casse del Latina calcio e, infine, per comprare voti e condizionare la politica.

Quello della creazione di false coop e di società cartiere per riciclare denaro sporco e su cui far ricadere l’obbligo del versamento dei contributi previdenziali, del versamento dell’Iva e di altre imposte, è una delle massime specializzazioni delle mafie italiane. Un business assai redditizio, anche dal punto di vista politico, che le riforme giudiziarie italiane sembrano non voler affrontare.

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