Che ne sarà della Tunisia nei prossimi mesi? Una domanda che si stanno ponendo in molti nel paese (e non solo) e a cui è difficile dare una risposta.

È CERTO invece che da lunedì 25 luglio il piccolo Stato nordafricano ha una nuova costituzione dopo il referendum imposto dal presidente della Repubblica Kais Saied dopo un anno di pieni poteri. È altrettanto certo il tasso di partecipazione a una consultazione che ha di fatto posto fine alla transizione democratica dopo la Rivoluzione del 2011: 30 per cento. Un dato decisamente più rilevante del 94 per cento con cui chi è andato a votare ha dato il suo avallo a rendere il regime tunisino ultra presidenziale con prerogative importanti a favore del responsabile di Cartagine e poche tutele rispetto al ruolo delle due camere e alla reale separazione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario.
Quello che è successo nel paese in questi giorni non è casuale. Parte da una lunga crisi politica, economica e sociale in corso da anni; tocca il suo apice il 25 luglio 2021 con il colpo di forza di Saied con cui scioglie il governo e congela il parlamento; prosegue a settembre dello stesso anno con l’accaparramento dei poteri e si conclude (per ora) lunedì scorso con il referendum costituzionale e l’inizio della terza Repubblica dopo i regimi di Habib Bourguiba e Ben Ali e la fase di transizione democratica post 2011.

UNA NUOVA FASE politica e istituzionale che ha già richiamato l’attenzione di almeno due attori internazionali. In primis gli Stati uniti attraverso il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price: «La nuova costituzione include dei meccanismi di contropoteri indeboliti che potrebbero compromettere la protezione dei diritti umani e le libertà fondamentali». Contropoteri che nel caso della Tunisia erano già indeboliti almeno dal 2014 in quanto, nonostante il vecchio testo la prevedesse, non è mai entrata in funzione la corte costituzionale.
Successivamente è arrivato il turno dell’Unione europea, vicino strategico del paese anche per questioni non necessariamente legate alla politica interna come il fenomeno migratorio: «L’Ue prende nota dei risultati del referendum che si è tenuto in Tunisia il 25 luglio e che è stato segnato da una partecipazione bassa. Un largo consenso tra le diverse forze politiche, compresi i partiti e la società civile, è essenziale per la riuscita di un processo che preservi le conquiste democratiche e necessario per tutte le riforme politiche ed economiche che prenderà in futuro il paese. L’Unione europea continuerà a seguire da vicino gli sviluppi e resterà al fianco del popolo tunisino e all’ascolto dei suoi bisogni in questo momento cruciale».

ANCHE GLI ATTORI politici interni hanno fatto sentire la loro voce. Il leader del partito di ispirazione islamica Ennahda, Rached Ghannouchi, ha rilasciato un’intervista ad Al Jazeera dove dice di temere per il futuro della sua forza politica, la più colpita dal colpo di forza di Saied: «Il prossimo passo del presidente è pensato per escluderci dalla prossime elezioni». Un timore che potrebbe trasformarsi molto presto in realtà, anche se i sostenitori del responsabile di Cartagine sono convinti che questo sia solo un bene per il futuro del paese dopo undici anni di malgoverno, corruzione e crisi economica. Nella notte di lunedì, i festeggiamenti avvenuti a Tunisi nella centrale avenue Bourguiba si sono focalizzati tutti sulla «fine del regime islamico».

LA RETE DI PARTITI di sinistra che ha invitato la popolazione a boicottare il referendum da parte sua ha denunciato brogli elettorali da parte di Saied con la complicità dell’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie).
Tutti elementi che non sembrano interessare al presidente della Repubblica che già guarda al prossimo appuntamento elettorale. In un incontro al palazzo di Cartagine ha invitato la premier Najla Bouden Romdhane a preparare le elezioni presidenziali e legislative del prossimo 17 dicembre.