La Tunisia è costruita su basi economiche estremamente fragili. Dipende fortemente dalle assunzioni nel settore pubblico e da finanziamenti esteri essendo priva di assi strategici interni. Risorse come il turismo invece, un settore che tende a privilegiare certe zone costiere senza avere ricadute per tutto il paese, non ha garantito nel corso degli anni un miglioramento delle condizioni economiche e sociali della popolazione.

Il 2023 ha presentato il conto per tutta una serie di problemi strutturali storici e da qualche settimana il dossier tunisino è finito sui tavoli delle più importanti cancellerie europee, alla luce anche di un aumento delle partenze verso Lampedusa. A margine della riunione dei ministri degli affari esteri dell’Unione europea di lunedì 20 marzo, il capo della diplomazia Ue Josep Borrell ha sintetizzato i timori della sponda nord del Mediterraneo: «Se la Tunisia affonda, c’è il rischio che i flussi migratori aumentino e la possibilità di ulteriori instabilità nella regione. Bruxelles non può aiutare un paese incapace di firmare un accordo con il Fondo monetario internazionale (Fmi). Il presidente della Repubblica Kais Saied deve portare a termine questa trattative, altrimenti la situazione sarà molto grave per la Tunisia». Queste parole si rifanno al possibile prestito da 1,9 miliardi di dollari a favore di Tunisi che fatica a chiudersi per le poche garanzie che il piccolo Stato nordafricano offre in questo momento e che si traducono in un tasso di inflazione del 10 per cento, un debito pubblico che sfiora il 100 per cento del Pil e un tasso di disoccupazione stabile al 15 per cento.

Diversi analisti hanno stimato in sei mesi, massimo nove, il fallimento economico della Tunisia. Una possibilità che potrebbe aprire a scenari mai visti. Timori e inquietudini che vedono nell’Italia uno spettatore particolarmente interessato. In prima linea, a spingere per la chiusura di nuovi accordi economici e continue strette sul lato della migrazione, ci sono il ministro degli esteri Antonio Tajani e quello degli interni Matteo Piantedosi. «Gli aiuti servono a garantire la stabilità, mi auguro che il Fondo monetario trovi un accordo con il presidente tunisino, l’Italia sta facendo la sua parte. Non è sempre facile ma è interesse generale che ci sia stabilità in un paese chiave per il Nord Africa e vicino a noi. Faremo di tutto perché arrivino i finanziamenti e che si facciano le riforme, essenziali per gli aiuti», sono state le dichiarazioni di Tajani a seguito dell’incontro europeo di lunedì scorso. Al netto che già oggi l’Italia è il primo partner commerciale della Tunisia, il responsabile della Farnesina ha anche parlato di un finanziamento da 110 milioni di euro per le piccole e medie imprese tunisine attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo (Aics).

Sul fronte della migrazione, Matteo Piantedosi negli ultimi due mesi ha rilanciato più volte il dialogo con il suo omologo Taoufik Charfeddine. Prima con una visita di Stato nel gennaio scorso, dopo diversi colloqui telefonici. L’ultimo in ordine di tempo risale a quasi una settimana fa per confermare la cooperazione in tema di sicurezza e controllo delle frontiere. Tuttavia, in un paese particolarmente esposto a fragilità e scossoni interni, le cose possono cambiare velocemente. È così che nella serata di venerdì 17 marzo il ministro degli interni si è dimesso, ufficialmente per ragioni personali, ed è stato sostituito dal prefetto di Tunisi Kamel Feki, chiamato a sua volta a riprendere i proficui dialoghi con la sua controparte italiana.