È un panorama economico e sociale devastante quello in cui gli Stati uniti si preparano al decisivo voto di novembre.

Ieri l’ufficio del lavoro ha reso noto che 29,2 milioni di americani ricevono i sussidi di disoccupazione. Mentre un’inchiesta del New York Times ha dimostrato che 1 famiglia su 8 soffre letteralmente la fame, e anche chi mette insieme il pranzo con la cena (magari grazie ai «food stamp», i buoni pasto tanto invisi ai repubblicani) non gode di un’alimentazione sana, innescando malattie e patologie che sul medio periodo saranno più letali del coronavirus, tristemente approdato ormai come terza causa di morte negli Usa.

Perdita del lavoro e difficoltà a nutrirsi uniti alla perdita o alle difficoltà anche nell’assistenza sanitaria innescano una reazione sociale a catena da cui è difficile uscire.

Una non profit che serve pasti a Chicago, foto Ap

Il congresso sta ipotizzando un blocco soft degli sfratti, perché finire in mezzo a una strada durante una pandemia è un fattore di rischio troppo grande anche per un paese notoriamente pieno di «homeless».

Ma a Washington, monopolizzata dalla campagna elettorale, il cambio di rotta non si vede.

Anzi, il debito pubblico federale quest’anno schizzerà al 98% ma già si sa che l’anno prossimo supererà la soglia (psicologica e non solo) del 100% del Pil, un livello mai raggiunto dalla Seconda guerra mondiale a oggi.

Trump ormai conserva le vesti simboliche (e i poteri) presidenziali ma fa campagna elettorale come uno sceriffo di contea (copyright: Lindsey Graham), un improbabile «outsider» contro tutto e tutti.

In un autunno mai così scuro, l’unico programma fin qui sventolato è «legge e ordine», solleticando gli istinti e le ansie della sua base elettorale, minoritaria ma omogenea e ben armata.

Mettendo in fila anche solo una piccola parte delle sue ultime dichiarazioni sembra di assistere a un bombardamento a tappeto.

«Sleepy Joe» (il sonnolento Biden, ndr) si è trasformato in una marionetta in mano ai «socialisti» e agli «antifa» più radicali.

Il voto postale è una truffa della sinistra ma i repubblicani devono «votare due volte», ai seggi e per posta.

E poi, a ogni buon conto, minaccia di mandare ai seggi gli sceriffi per controllare i documenti e il diritto di voto di chi sarà in fila il 3 novembre.

E ancora: vuole azzerare i fondi ai «sindaci anarchici» (leggi: democratici) di molte città.

Sono tutte dichiarazioni autentiche, purtroppo.

Sulle quali nessuno né nel governo né nel partito repubblicano dice o obietta alcunché (solo Romney, sempre più «maverick», ha alzato un sopracciglio).

Contro questa «strategia del caos» Facebook prova a correre ai ripari, annunciando lo stop alle nuove pubblicità politiche sette giorni prima del voto e cancellando i post che influenzano con falsità le operazioni di voto o i risultati elettorali.

Trump è Trump. Ma anche la realtà non scherza.

Studentessa nella San Diego State University, foto Ap

Ultimo drammatico campanello di allarme, che può interessare in parte anche noi, è l’emergenza Covid-19 nelle scuole e nelle università.

Buona parte dell’istruzione Usa si svolge a distanza, ma nei college e nei campus che hanno aperto agli studenti l’epidemia non conosce ostacoli: 700 studenti positivi e isolati in Illinois, 500 in Alabama, 300 in Georgia, 224 in Kentucky, più di1.000 in South Carolina. Sono numeri riferiti non allo stato ma al singolo ateneo o ai distretti scolastici di contea. Un disastro che potrebbe peggiorare con il festivo Labor Day di lunedì 7, tanto che in molti campus sono state proibite le feste e scoraggiati gli spostamenti.

Proprio sul disastroso rientro a scuola martellano in queste ore i democratici, con Biden che critica il governo per aver escluso dai fondi Fema (la protezione civile) perfino l’acquisto di mascherine da parte delle scuole, che dunque dovranno provvedere da sé.