Trump agli arresti: «Non colpevole». E New York si divide
Stati uniti L’ex presidente si consegna e ascolta i 34 capi d’accusa mossi dalla procura. Fuori, due sit-in opposti come la polarizzazione Usa. La sua "spalla" Marjorie Tayloy Greene: «Mandela è stato arrestato ed è andato in prigione. Gesù fu arrestato e assassinato»
Stati uniti L’ex presidente si consegna e ascolta i 34 capi d’accusa mossi dalla procura. Fuori, due sit-in opposti come la polarizzazione Usa. La sua "spalla" Marjorie Tayloy Greene: «Mandela è stato arrestato ed è andato in prigione. Gesù fu arrestato e assassinato»
Donald Trump si è costituito, presentandosi all’ufficio del procuratore distrettuale Alvin Bragg, e per la prima volta ha ascoltato quali sono le 34 accuse contro di lui che saranno rese pubbliche nel pomeriggio americano, troppo tardi per noi.
DA IERI l’ex presidente è in stato di arresto. Già dalla mattina si sapeva che il tycoon si sarebbe dichiarato non colpevole per il ruolo avuto nel pagamento per il silenzio della pornostar Stormy Daniels riguardo la loro passata relazione sessuale. Il suo avvocato aveva dichiarato che non ci sarebbe stata alcuna «possibilità» che The Donald potesse accettare un patteggiamento. Quello che la sua base si aspetta da lui.
Non la si vede spesso a New York, città natale dell’ex presidente ma che non lo ha mai amato. Eppure ieri la manifestazione in suo sostegno era organizzata proprio a New York City, in un piccolo parco a un isolato dal tribunale penale dove lo si aspettava per le 14.15.
A dare manforte a Trump è arrivata la deputata di estrema destra Marjorie Tayloy Greene, ma non si può dire che abbia fatto un vero e proprio comizio, il suo intervento è durato meno di 10 minuti, veicolando un concetto ripetuto poi nelle interviste con le televisioni conservatrici: Trump si unisce ad «alcune delle persone più incredibili della storia. Nelson Mandela è stato arrestato ed è andato in prigione. Gesù fu arrestato e assassinato».
LA MANIFESTAZIONE, però, era l’occasione per i sostenitori di Trump di mostrarsi in una piazza dove tradizionalmente non sono ammessi. «Ero a Washington il 6 gennaio e sono qua oggi – dice Eileen, 63 anni – Vengo da Long Island per dire ai comunisti di Manhattan che non siamo intimiditi da loro. Il 6 gennaio è stato il giorno più bello della mia vita e dopo aver visto tutta quella forza ogni altra manifestazione ora mi sembra piccola. Mi aspettavo molta più gente qua oggi ma se continueranno a perseguitare Trump si rivedranno folle simili a quella di Washington».
«Sono venuto perché è tempo che gli Stati uniti riprendano la guida del mondo – aggiunge Mike, 63 anni di Trenton, New Jersey – Dovremmo prendere esempio dall’Europa. Ungheria, Italia, hanno veri leader. Dobbiamo proteggere Trump per non rimanere indietro rispetto al mondo. I nostri nemici lo stanno attaccando, ma noi lo difenderemo».
IN ALCUNI MOMENTI la divisione del parco è sembrata una metafora di quello che sono gli Stati uniti dal 2016 in poi: due realtà che non potrebbero essere più diverse fra loro. Se da una parte i sostenitori di Trump sventolavano bandiere con la scritta «O Trump o morte», dall’altra i suoi oppositori alzavano striscioni con scritto «Fuck Trump». A più riprese entrambe le manifestazioni hanno cominciato a scandire lo stesso slogan, «Usa, Usa», letteralmente gridandoselo in faccia, divisi solo da una linea di transenne.
«Non ho nessun tipo di comprensione per questa gente – dice Sheena, 47 enne di New York riferendosi al gruppo pro Trump – Non è più una base politica, è un culto. Quando abdichi alla razionalità entri in un’altra sfera, quella del fanatismo. Tutta questa gente è arrivata qua convinta che Biden abbia rubato il risultato elettorale quando è stato proprio Trump a cercare di fare ogni tipo di gioco sporco per restare al potere. E ora credono che sia ingiustamente perseguitato da un gruppo di malvagi democratici motivati da odio personale. Credono a qualsiasi cosa Trump dica e sostengono di essere pronti a tutto per difenderlo. Mi rincuora vedere che sono un gruppo tutto sommato minoritario rispetto al paese, ma non abbastanza minoritario da non costituire un problema».
Pochi minuti prima di entrare nel tribunale di New York, Trump ha pubblicato un post sul suo account Truth Social, nel solito stile misto, tra minuscolo e tutto maiuscolo: «Diretto a Lower Manhattan, il tribunale. Sembra così surreale – wow, mi stanno per arrestare. Non riesco a credere che stia succedendo America. MAGA!».
E HA PROSEGUITO attaccando Bragg, definendolo «un giudice altamente di parte. La sua famiglia è famosa per odiarmi. Ha già fatto un disastro in un altro caso collegato a Trump, ha dato istruzioni orribili alla giuria. Sua figlia ha lavorato per Kamala, è una corte ridicola».
«È strano – dice Olivier, 38 anni, dalla sezione del parco contro Trump – Non so quanto sia una buona idea denunciare ad alta voce e pubblicamente il giudice davanti al quale si sta per comparire per essere accusato di 34 reati penali».
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