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Trieste città chiusa. Migranti costretti a vivere in strada

Trieste città chiusa. Migranti costretti a vivere in strada

Rotte pericolose In due mesi 5.000 stranieri sono arrivati nella capoluogo giuliano Tra loro 500 minori non accompagnati e donne sole con figli

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 4 dicembre 2022

Dice il Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza: «Basta, non faccio più niente per questi qua» e si riferisce ai migranti. Dice che gli hanno riferito di alcuni danni rilevabili in una struttura di accoglienza della città giuliana. Eppure fino a oggi questo sindaco non sembra aver fatto molto per i migranti ma neanche per i senzatetto, per le tante fragilità che avrebbero comunque diritto a una esistenza dignitosa. Ha chiuso l’unico help center che, nel bene e nel male, rappresentava un punto di riferimento e ha lasciato in mezzo alla strada chi arriva dopo viaggi sfiancanti e cerca solo un riparo e un poco di cibo. Ci pensano, ma è al di là delle loro forze, la Caritas, Sant’Egidio, l’ICS, don Vatta, la Diaconia valdese e i volontari di Linea d’Ombra che ogni giorno, senza mancare mai, accolgono nella piazza davanti alla Stazione le decine, centinaia, di ragazzi stremati che arrivano quotidianamente dalla rotta balcanica.

RAGAZZI E FAMIGLIE, donne e bambini anche piccolissimi che arrivano con il buio cauti e intimoriti: negli ultimi due mesi quasi 5.000 persone a Trieste, il 60% provenienti dall’Afghanistan con poco meno di 500 minori non accompagnati, un centinaio i nuclei familiari, madri con i figli o donne sole. Accoglienza in piazza con qualche piatto cucinato in casa, le bende e qualche antinfiammatorio per curare le ferite che hanno raccolto durante il game. Se piove troppo ci si rifugia nel sottopasso ma a sera arriva la polizia per il “fuori tutti”. Ragazzi respinti più volte, che hanno conosciuto i campi di concentramento della Bosnia, che hanno subito i morsi dei cani, le bastonate, gli spari della polizia croata, che sono arrivati anche in Questura, a Trieste, convinti di poter far valere i loro diritti ma sono stati rimandati in strada con un appuntamento fra giorni o settimane, perché anche la Questura denuncia di essere in affanno e comunque deve dare priorità ai cittadini ucraini.

CLANDESTINI PER LEGGE, inesistenti per servizi sociali o sanitari, destinati a dormire per strada e a questuare un piatto di minestra nella mensa sovraffollata della Caritas, se fanno in tempo, se capiscono dove si trova. Un unico centro diurno con qualche posto letto dove passare la notte, venti letti, si fa a turno ma è splendido: c’è un bel tepore e persino le docce. In piazza solo i teli argentati, ma non bastano mai, distribuiti da Linea d’Ombra, nemmeno, per dire, un gabinetto chimico come sembrerebbe banale.

Si è spesso vantato, questo sindaco, di non avere problemi di spazio: ci sono caserme dismesse, possiamo fare cose belle, tutto sorrisi e bontà d’animo a favor di telecamere o del ministro in visita. Parole. Le ultime a una rappresentanza dei seicentotredici triestini scrittori, giornalisti, intellettuali, medici che hanno sottoscritto un lungo j’accuse chiedendo si smetta la vergogna di lasciare centinaia di ragazzi per strada, di non fornire alcuna assistenza, di persino biasimare chi in piazza cerca di dar loro una mano.

UN INCONTRO, qualche settimana fa, nel quale la disponibilità sembrava totale e, anzi, c’era stata persino l’individuazione di un grande spazio praticamente pronto con riscaldamento e bagni. Tranne essere smentito dall’assessore di riferimento praticamente in tempo reale: nessuno spazio né nuovo né vecchio.

Resta un campo di raccolta in periferia con qualche edificio adibito a mensa e dormitorio dove il posto per cento si è subito esaurito e l’esercito ha montato tende di fortuna nel prato. Trecento e più a stazionare lì per un tempo imperscrutabile e niente da fare, niente, se non fare la fila alla mensa e rifugiarsi nelle brande quando è l’ora. Obbligati a restare in attesa che la Prefettura trovi dove ricollocarli. Ci sono danni? C’è qualche lavandino rotto? Ci sono cessi inagibili? Di chi la colpa se colpa vogliamo trovare? Di chi la colpa di un pozzo nero che non può reggere quei numeri e tracima, riempiendo di liquami il prato?

MA È TUTTA LA REGIONE ad essere sprofondata in un buco nero: gli arrivi dalla rotta balcanica ci sono e ci saranno, i trasferimenti verso altre Regioni sono frammentari da mesi. A Gorizia afghani, pakistani, curdi, sono accampati intorno alla stazione o davanti alla Questura illusi che là le pratiche si risolvano più rapidamente che a Trieste. Per settimane Gradisca è sembrata un suk e ancora non è finita: al Cara sono già troppo stipati e a decine restano fuori, addossati ai muri perimetrali, riparati da qualche cartone o qualche telo ed è soltanto per la solidarietà di chi sta dentro se riescono a mangiare qualcosa. Meno male che una parrocchia ha provveduto ad aprire un dormitorio a bassa soglia per almeno smussare tanto orrore.

C’È LA SOCIETÀ CIVILE, quella sì, che si è messa in rete con le associazioni che raccolgono generi di prima necessità, portano sacchi a pelo, coperte, giacche, scarpe. Sono Insieme con Voi – Gorizia Solidale, Circolo ARCI Skianto! a Gradisca, Rete Solidale Pordenone, Linea d’Ombra ODV a Trieste e, a Udine, Ospiti in Arrivo. Volontari, fino in fondo, che mettono anche la loro fantasia al servizio della causa, per raccogliere fondi e materiali da distribuire a chi, evidentemente, non è scappato dal paese giusto e allora non trova rispetto né della normativa internazionale né di quella nazionale. Suonano pretestuose e ipocrite le scuse addotte dalle diverse istituzioni che non rendono effettiva l’accoglienza e suona scandaloso il ghigno offeso di un sindaco davanti a un rubinetto divelto.

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