Ci sono Di Maio e Salvini. E poi c’è Giovanni Tria. Nel gioco a tre punte del governo, il ministro dell’economia occupa il ruolo del regista: quello che non si vede mai, ma quando interviene il suo intervento mette ordine e normalizza. E così è avvenuto anche nell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato ieri dove Tria ha ricondotto, di nuovo, le spinte contraddittorie delle teste d’ariete verso il cosiddetto «reddito di cittadinanza» (Di Maio) e la «pace fiscale» (condono)-Flat Tax (Salvini) a più prudenti, e non ancora circostanziati, interventi «di legislatura». Il ministro ha ribadito la regola dei «conti sono quasi fatti» parlando della legge di bilancio da approvare nel 2018, nella quale Di Maio vorrebbe aprire un capitolo per riequilibrare il governo Legacentrico.

«NON È IN DISCUSSIONE la Flat tax, ma i tempi visto che il governo ha un programma di legislatura». Il reddito di cittadinanza: «è ben definito ma si può articolare in vari modi, i ministeri interessati lo stanno studiando» ha detto Tria. Tuttavia, aspettare cinque anni per sventolare le bandiere gialloverdi è troppo per la fretta che hanno i vicepremier gemelli diversi. Tria ha concesso allora tre «task force» su welfare, fisco e investimenti pubblici presso il suo ministero. Non Palazzo Chigi come ha sostenuto Di Maio quando ha parlato di un «tavolo» (o cabina di regia) sul «reddito di cittadinanza». La task force sul «welfare» farà una «due diligence» sulla spesa sociale in vista di una riforma che «non sarà assistenzialistica», ha precisato Tria. Una lancia spezzata per Di Maio che fatica a fare passare il concetto: il suo «reddito» è un sistema di «workfare» e lavoro gratuito, diverso dall’«assistenzialismo» basato su lavori socialmente utili. Un modello neoliberista non compreso dai liberisti. Paradossi del «momento populista» della politica.

DI MAIO SMUSSA gli spigoli. «Tria? Essere prudente è un dovere per lui». E le coperture per il «reddito» esistono, sono «25 voci di spesa» che intervengono su spending review, concessionari stradali, tassazione sull’azzardo, spese militari. E fondo per l’editoria, Di pazienza il vicepremier ne deve avere tanta: ieri Tria ha smentito la sua lettura sui dati dell’occupazione: per lui è un boom di precariato, per Tria è un più di occupazione. Segno che l’economia sta benone. La dissonanza sembra essere la regola tra «tecnici» e «politici» che non si accordano. Le altre «Task force» studieranno una «riforma delle imposte dirette con l’obiettivo prioritario di ridurre gradualmente il carico sui redditi bassi e medi e la piccola impresa» e il «rilancio degli investimenti pubblici». Impegni vaghi presi per prendere tempo, in vista dell’aggiornamento del Def a settembre. C’è l’impegno a fare «un cronoprogramma per l’applicazione progressiva» della Flat Tax. Salvini sembra rassicurato. Dice di volersi dedicare alla promessa sulle cartelle esattoriali: «Così abbasseremo le tasse ai piccoli imprenditori e artigiani. Tria ha ragione, siamo qui per diminuire il debito pubblico, non aumentarlo».

PER TRIA NON CI SARÀ una manovra correttiva quest’anno. Tria è certo. Dovrebbe esserlo anche la viceministra all’economia Laura Castelli (M5S) che l’aveva paventata: «Pare di sì» ha detto. Come il premier Conte: «Vedremo, devo parlare con Tria». Ma non è finita qui. Si attende la replica del commissario Ue Moscovici: potrebbe rilanciare la disputa sulla «manovrina»fantasma da circa 6 miliardi di euro che tiene occupate Roma e Bruxelles da due anni. Tria è fiducioso: Bruxelles sarebbe orientata a credergli. Sarebbe, appunto.

LA POLITICA macro-economica non cambia dai tempi di Renzi-Padoan. E il pareggio di bilancio slitterà prevedibilmente al 2021, mentre la legge di bilancio per il prossimo anno non sarà «restrittiva». La «crescita» è in declino, ma permette di dare qualche respiro. È una scena già vista: il governo Conte salirà a Bruxelles chiedendo alla Commissione la «flessibilità» per evitare un aggiustamento dei conti «troppo drastico» nel 2019. La «continuità» con Padoan non è gradita da Tria. «Non c’è, perché dipende dall’uso delle risorse» ha risposto seccato. Ma almeno una esiste: la continuità sulla trattativa con Bruxelles sulla flessibilità di bilancio per gli investimenti («richiesta da anni e poi si è fatto il contrario»), da cui presumibilmente dipendono anche Flat Tax e «reddito».

LA CHIUSURA DEL CERCHIO appare difficile. Da un lato, si vuole fare sul bilancio come sull’immigrazione. Visti i risultati aleatori dell’ultimo vertice ipersecuritario Ue, non è detto che la partita finirà come predetto. Dall’altro lato, c’è il rigore dei conti: «Nessuno li farà saltare, il governo è unito» ha assicurato Tria. Il programma di legislatura sarà «implementato compatibilmente al bilancio». Il percorso sul sentiero stretto (Padoan) prosegue e dipende dagli arcigni custodi dei conti.