Nel processo all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per il caso Open Arms sono intervenuti ieri Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli. Due testimonianze chiave perché ai tempi dei fatti, l’agosto del 2019, erano rispettivamente ministra della Difesa e titolare delle Infrastrutture. Sono stati loro a firmare insieme al leader leghista il decreto interministeriale di ingresso nelle acque territoriali italiane per la nave della Ong. Durante il governo giallo-verde facevano entrambi riferimento al Movimento 5 Stelle.

«Le decisioni sull’assegnazione del porto sicuro erano del ministro dell’Interno perché erano una sua competenza. Da ministro della Difesa e in relazione ai divieti di ingresso in acque italiane a me spettava solo verificare che non si trattasse di nave militare», ha detto Trenta. Assestando un durissimo colpo alla linea difensiva di Salvini, che punta proprio sulla collegialità della decisione. Come nel caso della nave della guardia costiera Diciotti per cui il leader leghista ha ottenuto l’archiviazione.

Secondo quello che hanno raccontato i due ex ministri, però, si tratta di due vicende molto differenti. Perché nella prima si era trattata di una decisione condivisa effettivamente da tutta la compagnine governativa, mentre nella seconda le cose andarono in maniera diversa. Perché nel caso Open Arms il governo stava ormai per cadere e le due forze politiche che reggevano la maggioranza erano ai ferri corti. «Qualcosa si è rotto» aveva detto Salvini l’8 agosto 2019, tra un cocktail e l’altro, sulla spiaggia del Papeete. Intanto i naufraghi erano già a bordo della Open Arms, bloccati al largo.

«Non esisteva già più un governo, esisteva una persona, Salvini, che andava in giro, era in campagna elettorale e parlava alla pancia delle persone. Non si facevano più consigli dei ministri con ministri che operavano collegialmente», ha attaccato Toninelli. Entrambi i testimoni hanno anche dichiarato di essersi rifiutati di firmare un secondo decreto con cui, dopo che il Tar aveva bocciato il primo, Salvini avrebbe voluto continuare a tenere lontana la nave umanitaria e i 147 migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale.

Se fossi stata al Viminale, ha aggiunto Trenta, «non mi sarei comportata così. Le nostre battaglie giuste non devono ricadere sui fragili e ci sono diritti umani che vanno rispettati». La ex ministra della Difesa ha poi negato di essere stata a conoscenza dell’attività di intelligence del sottomarino della marina militare italiana «Venuti».
Ieri al fascicolo del dibattimento è stato acquisito il materiale audio, fotografico e video girato dal sommergibile durante il soccorso del barcone dell’1 agosto 2019. La richiesta è stata avanzata dall’avvocata Giulia Bongiorno, che difende Salvini. Per la procura di Palermo quelle immagini dimostrano che i naufraghi si trovavano in condizioni drammatiche.