Sono tre gli attivisti del progetto Baobab Experience imputati per «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina». Oltre al presidente Andrea Costa, ci sono due volontari. Il primo è accusato di aver raccolto nell’ottobre 2016 circa 250 euro per aiutare otto cittadini maliani e un ciadiano a muoversi verso il nord Italia. Il secondo di averli accompagnati da Roma a Genova «con destinazione Ventimiglia». Tutti rischiano tra 6 e 18 anni di carcere. Molti altri attivisti sono pronti ad autodenunciarsi e dichiararsi colpevoli di solidarietà.

Il 3 maggio prossimo, infatti, il tribunale di Roma dovrà stabilire se aiutare le persone migranti è un reato oppure no. L’esito non è scontato, ma nella vicenda una certezza c’è: gli imputati non hanno ricevuto soldi, anzi li hanno messi di tasca propria. È uno dei paradossi dell’articolo 12 del Testo unico sull’immigrazione che disciplina il «favoreggiamento». È formulato in modo che il profitto non è elemento costitutivo del reato, ma solo una possibile aggravante. L’Italia non ha neanche voluto introdurre la clausola di non punibilità per assistenza umanitaria, prevista dalla direttiva europea 2002/90/CE. Dunque, per mare e per terra continuano i procedimenti contro la solidarietà verso le persone migranti.

Quello che riguarda il Baobab ha diversi aspetti grotteschi. «Le inchieste sono come il maiale, non si butta via niente», scherza l’avvocato della difesa Francesco Romeo. La metafora è azzardata ma pertinente. Le indagini, infatti, sono partite nel 2016 a seguito di un rapporto della questura di Roma e sono state prese in mano dalla Direzione distrettuale antimafia. L’ipotesi era che dietro i volontari ci fosse un’associazione a delinquere per sfruttare i migranti. Un buco nell’acqua: nel periodo delle indagini – che hanno contato su intercettazioni, pedinamenti, analisi dei conti correnti – Costa aveva in banca uno scoperto di 11 euro.

È però venuta fuori una telefonata in cui si parlava di aiutare nove ragazzi ad andare a Ventimiglia, nel centro della Croce rossa (anche a seguito dell’ennesimo sgombero di Baobab). Secondo l’accusa questo avrebbe potuto favorire il transito verso la Francia, che non è chiaro se poi sia concretamente avvenuto.

Nella conferenza stampa tenuta ieri l’avvocata Ludovica Di Paolo Antonio ha ricordato le drammatiche situazioni di Sudan e Ciad nel 2016 e gli altissimi tassi di accoglimento delle domande di protezione. «Erano profughi di guerra», ha detto. In pratica come gli ucraini che Baobab ha portato in Italia pochi giorni fa dal confine moldavo, attraversando 5 frontiere. Aperte e accoglienti.