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Tre palestinesi lanciati nel vuoto, orrore a Qabatiya

Tre fermi immagine del video girato a QabatiyaTre fermi immagine del video girato a Qabatiya

Davanti agli occhi Sdegno per il video che ha catturato l'ultima violenza israeliana in Cisgiordania. A Gaza bombe su due case di Rafah: 13 uccisi, tre sono minori. Raid su un bus e sul campo di Nuseirat. Tel Aviv presenta due memorie alla Corte penale per fermare i mandati d’arresto

Pubblicato 6 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Tre corpi esanimi, forse già morti, forse feriti, cadono nel vuoto. Uno dopo l’altro vengono spinti giù dal tetto di una casa della cittadina palestinese di Qabatiya, nord della Cisgiordania. Non sembrano persone, piuttosto dei fantocci. Sono tre giovani palestinesi e a lanciarli nel vuoto è un gruppo di soldati israeliani. Prima, li calpestano, li prendono a calci.

IL VIDEO, rubato da una finestra di Qabatiya, ha confermato la notizia che girava giovedì. Ha generato sdegno, mescolato però a una sorta di consapevole rassegnazione: non ha stupito. L’esercito israeliano ieri ha annunciato l’apertura di un’indagine sull’accaduto ma nessuno crede che si possa giungere a una qualche forma di incriminazione, tanto meno di punizione. Lo dice la statistica.

 

L’invasione di Qabatiya, a poca distanza da Jenin, epicentro della resistenza armata palestinese, era cominciata giovedì mattina. È andata avanti per una decina di ore e ha lasciato senza vita i tre palestinesi, dopo l’assedio della casa in cui si trovavano (alla Mezzaluna rossa è stato impedito di raggiungerli, i cadaveri sono stati portati via dall’esercito), e altre quattro persone, colpite in auto dall’attacco di un drone. Tel Aviv fa sapere che tra quei sette ci sarebbe Shadi Zakarneh, comandante della cellula armata operativa nella comunità.

Anche la piccola città ha visto avanzare i simboli dell’operazione israeliana «Campi estivi» lanciata il mese scorso in Cisgiordania, che sono gli stessi degli ultimi due o tre anni: i bulldozer militari che con una lentezza inesorabile devastano strade e infrastrutture. Qui la leggono tutti allo stesso modo: è così che si rende la vita sempre più difficile, spingendo via le persone, costringendole a cercare pace altrove.

Con le sette vittime palestinesi di Qabatiya, il bilancio dal 7 ottobre in Cisgiordania supera ampiamente i 700. Oltre 150 sono bambini. I feriti sono migliaia. Ieri l’International Rescue Committee ha avvertito del pericolo insito in un tale livello di violenza armata, soprattutto per il sistema sanitario palestinese: «Gli ospedali non sono preparati a gestire gli incidenti con vittime di massa, né a resistere ai continui attacchi alle strutture e al personale», ha detto Bart Witteveen, responsabile di Irc per i Territori palestinesi occupati.

LA STESSA COSA succede da undici mesi a Gaza, su una scala ancora peggiore. Mentre da Beirut giungevano gli echi del raid israeliano sulla Dahiye, a Rafah le bombe riducevano in macerie due abitazioni. Tredici uccisi: «Le squadre della protezione civile stanno tentando di raggiungere il luogo dell’attacco, tra gli scontri armati tra Hamas e Israele. Ci sono persone sepolte sotto le macerie», riporta il giornalista Tareq Abu Azzoum di al Jazeera. Tra le vittime, si scoprirà poco dopo, ci sono tre bambini.

La protezione civile ha anche denunciato l’attacco israeliano contro un autobus, a ovest di Gaza City, tre vittime. In mattinata era stato colpito il campo profughi di Nuseirat, di nuovo una casa: nove uccisi. Dall’ospedale al-Awda della vicina Deir al Balah, il reporter Hani Mahmoud raccontava l’arrivo dei feriti nell’attacco: «I medici dicono che l’acuta carenza di forniture mediche rende molto difficile trattare gli immensi traumi e le perdite di sangue e salvare vite umane».

Una luce, flebile, di un legame seppur simbolico tra le enclavi palestinesi si è accesa ieri nel sud di Gaza: per la prima volta dall’inizio dell’offensiva israeliana un convoglio di cinque camion pieni di medicinali inviati dall’Autorità nazionale palestinese e partiti da Nablus è arrivato nei magazzini gazawi, coordinato dall’Organizzazione mondiale della Sanità.

CON IL CESSATE il fuoco che è ormai solo una litania, ieri il ministero degli esteri israeliano ha annunciato la consegna di due memorie legali alla Corte penale internazionale in merito alla richiesta della procura di mandati d’arresto per il primo ministro Netanyahu, il ministro della difesa Gallant e il leader di Hamas Sinwar. Israele afferma che l’Aja mancherebbe di giurisdizione alla luce degli Accordi di Oslo e che a indagare, eventualmente, dovrebbe essere la magistratura nazionale.

«Nessun’altra democrazia con un sistema giuridico indipendente e rispettato è stata trattata in modo così pregiudizievole dal procuratore», dice il ministero. Da giorni montano le indiscrezioni sulla possibile emissione a breve dei mandati d’arresto. La presentazione delle due memorie, secondo molti analisti, sarebbe la prova che la Corte sta per agire.

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