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«Hezbollah vuole tornare al 6 ottobre, Tel Aviv nuove regole al confine»

Le colonne di fumo provocate dai bombardamenti israeliani su un villaggio libanese nel distretto di Nabatiyeh, a sud foto Ap/Hussein MallaLe colonne di fumo provocate dai bombardamenti israeliani su un villaggio libanese nel distretto di Nabatiyeh, foto Ap/Hussein Malla

Sami Nader Intervista al direttore dell’Istituto di Scienze politiche all’Università Saint Joseph di Beirut, economista, esperto di comunicazione e a capo dell’Istituto Levantino per gli Affari strategici

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 27 settembre 2024

Dopo gli attacchi del 17 e del 18 settembre, da lunedì Israele bombarda a tappeto il sud e l’est del Libano, causando lo spostamento forzato di decine di migliaia di libanesi verso aree più sicure, in special modo Beirut, oltre alla morte accertata di 1.200 persone e il ferimento di oltre 5mila.  Abbiamo approfondito questi temi con Sami Nader, direttore dell’Istituto di Scienze politiche all’Università Saint Joseph di Beirut, economista, esperto di comunicazione e a capo dell’Istituto Levantino per gli Affari strategici, che si focalizza su economia e geopolitica dell’area.

Anche in questo momento Israele sta bombardando il Libano del sud e dell’est. Quale obiettivo si prefigge?
L’obiettivo di Israele è quello di chiudere definitivamente i conti al confine con il Libano e il fronte permanente a nord con Hezbollah. Prima del 7 ottobre, il Libano del sud rappresentava quest’arena, questa buca da lettera dove Hezbollah e Israele (ma anche l’Iran) si scambiavano messaggi. Dopo la guerra a Gaza lo scenario è cambiato anche nel nord di Israele, con i circa 100mila sfollati interni che il governo ha promesso di far tornare a casa. E quello degli sfollati è un punto centrale…

In che senso? Israele sta distruggendo il sud del Libano. A cosa serve questa strategia, quando potrebbe colpire armamenti o membri di Hezbollah con attacchi di precisione, come ha ampiamente dimostrato in molte occasioni?
Riguardo agli sfollati di questi giorni e alla distruzione del sud del Libano, si tratta anche del tentativo di stabilire un nuovo equilibrio, un gioco sporco giocato sulla pelle delle persone: se gli israeliani non possono tornare nelle loro case a nord di Israele, allora Netanyahu renderà impossibile ai libanesi di vivere nel sud del Libano. Fa parte di una strategia di pressione psicologica.

Israele insiste a dire di non volere una guerra su larga scala. È credibile?
Anche in questo momento di altissima tensione sia Hezbollah che Israele provano a evitare un conflitto totale, con obiettivi diversi però: Israele prova a stabilire una nuova equazione basata sulla forza militare, mentre Hezbollah vuole tornare al 6 ottobre 2023, ovvero alle regole di ingaggio precedenti il conflitto. Si tratta comunque di un momento molto difficile in cui nessuno dei due attori può mostrare segni di cedimento.

Gli attacchi a cercapersone e walkie-talkie e le uccisioni eccellenti sono stati colpi durissimi per Hezbollah. Come cambia l’immagine che il Partito di Dio ha costruito negli anni tra i suoi, ma anche all’esterno?
Quello che è accaduto nelle operazioni recenti, soprattutto le azioni militari di questi giorni, ha dimostrato sia la netta supremazia di Israele dal punto di vista della tecnologia sia le tante vulnerabilità di Hezbollah, che ha dato prova di essere infiltrato ed esposto all’intelligence israeliana. Hezbollah ha certamente subito un colpo in termini di immagine, soprattutto dopo la sua vittoria del 2006, che invece aveva avuto un effetto diametralmente opposto e che ha utilizzato fino a oggi per delineare la sua immagine di argine a Israele. Quindi ora, nonostante non voglia entrare in una guerra totale, non può ovviamente arretrare. Solo in questo modo può ristabilire la propria immagine e il proprio ruolo di deterrenza.

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