Ogni rivoluzione ha i suoi simboli. La rivoluzione iraniana del 1979 non è un’eccezione. E ha inciso sui costumi di un paese con una lunga tradizione laica e di stretti rapporti con il mondo. Le tenute verdi dei sepah e-pasdaran ricordano il controllo del clero sciita sulla società iraniana. Anche il velo, obbligatorio per le donne, nonostante nelle grandi città si sia ridotto a un semplice foulard, è spesso un simbolo rivoluzionario più che un richiamo alla religione. Per le strade iraniane non mancano mai le cassette blu e gialle delle elemosine che vengono distribuite alle opere caritatevoli come sinonimo dell’assistenzialismo del regime degli ayatollah.

E poi non c’è strada che non sia circondata di foto di giovani, sorridenti, barbuti o religiosi: le migliaia di martiri, vittime della guerra Iran-Iraq (1981-1989). Così come, secondo il regime, martiri contemporanei sono gli ingegneri, impegnati nel programma nucleare, vittime di attacchi mirati negli ultimi anni e branditi come simboli del riscatto iraniano dal nuovo presidente moderato Hassan Rohani, dopo l’accordo di Ginevra del novembre scorso.

Tra le moschee di Qom

La guerra contro Saddam Hussein prima e il programma nucleare poi hanno tenuto unito il popolo iraniano per trent’anni e permesso al regime ogni forma di repressione. Ma ora che il contenzioso sul programma nucleare è vicino a una soluzione, cosa cementerà l’unità nazionale nel paese degli ayatollah? Restano le immagini dei volti delle guide supreme Ruhollah Khomeini e Ali Khamenei, che hanno detenuto il potere sostanziale dopo la rivoluzione.

Eppure l’Iran sembra pronto ad una stagione di «perestroika» per voltare pagina con il passato, come lo stesso Hassan Rohani ha detto in un discorso all’Università di Tehran. Una sorta di revisionismo del pensiero khomeinista che potrebbe mantenere intatti i simboli rivoluzionari per creare nuova crescita economica, testimoniata dagli immensi aeroporti, dalle linee della metropolitana di Tehran e Mashad, insomma dalle opere pubbliche gestite dai tecnocrati.

Eppure a tenere vivo lo spirito rivoluzionario sono sempre i grandi centri dell’islam sciita: le moschee di Imam Reza nella città santa di Mashad, il mausoleo dell’Imam Khomeini nella periferia di Tehran, il culto per l’Imam Hussein. Luoghi e figure che incidono nella formazione continua dell’identità rivoluzionaria, soprattutto per conservatori e radicali, a detrimento dell’identità persiana del paese.

Nei vicoli della città santa di Qom le donne indossano lunghi chador neri. Tra l’imponente moschea Hazrat-e Masumeh, uno dei principali luoghi di culto per gli sciiti, e la grande scuola coranica di Fizieh, incontriamo un giovane mullah. Qui il nuovo corso che si respira a Tehran dopo la vittoria elettorale dei tecnocrati sembra molto lontano. «Continuo a sostenere Mahmoud Ahmadinejad (ex presidente radicale, ndr) perché ha sempre avuto a cuore le classi più disagiate. I tecnocrati di Rohani sono pronti a fare affari con il nemico. Ma avvicinarsi ad americani e inglesi è un errore, ci hanno sempre manipolati», ammette Majtaba. Eppure Qom ha ospitato per trent’anni il più duro oppositore politico dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, Ali Montazeri, rimasto agli arresti domiciliari fino al giorno della sua scomparsa.

Tra i seguaci dell’Imam Reza

A Mashad, la piazza antistante l’immensa moschea dedicata all’Imam Reza è decorata con simboli bianchi stilizzati che riproducono un fiore, un orologio e un pavone. Gruppi di ragazzi seguono il loro imam di riferimento. La piazza è circondata da negozi di vestiti, botteghe che distribuiscono latte caldo con miele per il clima rigido e la neve che ricopre queste strade. Qui arrivano pellegrini sciiti da tutto il Medio oriente. Si sente parlare arabo, e in particolare i dialetti siriano e iraqeno: sono centinaia di migliaia i visitatori del luogo di culto più importante per i musulmani sciiti, ben più esteso e frequentato delle moschee di Sayeda Zeinab a Damasco e delle città sante sciite di Najaf e Kerbala in Iraq.

Mohammed Jafar, 31 anni, avvolto nella sua kefiah, non nasconde simpatie per il movimento sciita libanese Hezbollah. Porta ogni mese centinaia di sciiti al mausoleo Imam Reza. Ci invita a raccogliere libri religiosi gratuiti in inglese al tavolo del sedicesimo guardaroba per la consegna delle scarpe.

Per entrare nel mausoleo, è necessario passare attraverso porte chiuse da tappeti, sistemati lì per impedire che il freddo gelido entri nella stanza, dove ogni pellegrino viene perquisito meticolosamente per questioni di sicurezza. Si arriva così nell’immenso cortile, popolato 24 ore su 24. Le sale dell’interno, decorate con i tenui colori e gli specchi della tradizione sciita, di notte si trasformano in una sorta di parco giochi per bambini; amici passeggiano chiacchierando; coppie si attardano sedute sui magnifici tappeti. Uomini dirigono la folla brandendo lunghi piumini, un profumo intenso pervade le sale. La tomba dell’Imam Reza è circondata dai fedeli, ragazzi con la kefiah al collo piangono, porgono le mani alla teca, ricolma di banconote e monete per le offerte.

Si sentono urla che invocano il Mehdi: il dodicesimo imam che secondo la tradizione sciita è in occultazione e arriverà prima o poi sulla terra. Nessuno uscendo rivolge le spalle al mausoleo.

Da qui si apre un labirinto luccicante e infinito di cortili, stanze e scale mobili dove donne e uomini pregano e sostano. Un mullah tiene una lezione su darwinismo e rivoluzione rispondendo alle domande di giovani attentissimi. Abbas, ingegnere, 22 anni è arrivato a Mashad in pellegrinaggio per tre giorni dall’antica città iraniana di Esfahan. Inizia subito lodando l’ex presidente Mahmoud Ahmadinejad. «Non è un imbroglione come tutti vogliono farci credere, è l’unico politico onesto che conosca. Hashemi Rafsanjani e Hassan Rohani fanno invece parte di una cricca di corrotti. Mentre l’ex presidente Mohammed Khatami politicamente non esiste», inizia il giovane. Ma Abbas, come centinaia di altri ragazzi in questa moschea, ha le idee molte chiare e non nasconde il suo odio per gli Stati uniti.

L’attuale riavvicinamento tra Tehran e Washington qui sembra impossibile. «Obama e gli Stati uniti sono dei nemici. Per questo, Rohani non ha mai stretto la mano ad Obama», prosegue Abbas. Mentre sul presidente siriano Bashar al Assad, ufficialmente appoggiato dai conservatori iraniani, il pellegrino non ha le idee molte chiare. «Quello che mi preoccupa è la grave crisi economica che a Esfahan rende la vita impossibile», conclude.
Tuttavia, non tutti sono così vicini al dibattito politico come Abbas. Turkman, venuto in pellegrinaggio da Tehran, non crede nel sistema costruito dopo la Rivoluzione del 1979. «Ruhollah Khomeini ha pervertito l’Islam sciita», considera il giovane che ha boicottato le recenti elezioni presidenziali del giugno 2013.

Il volto laico di Mashad

Eppure nel moderno bazar al Mas al Sharq della seconda città iraniana dopo Tehran non si avverte la crisi economica. Mohammed Abdallah gestisce un negozio che vende gioielli e oggetti preziosi. «Gli affari vanno bene, Mashad ha risentito della crisi meno di Tehran», spiega. Concordano anche tre ragazzi che fumano un ghalioun (narghilè) in un antico caffé tradizionale. «È abbastanza semplice trovare lavoro anche se spesso è mal pagato», assicura Massoud.

A Mashad non sono mancati gli investimenti negli ultimi anni, grazie all’attivismo del sindaco tecnocrate Mohammed Pejman. Eppure resta una città profondamente conservatrice. Questo è stato confermato dalla vittoria locale alle presidenziali del candidato dei pasdaran, Sayyd Jalili. Ma all’Università Ferdosi, come in altri atenei del paese, il clima è contro corrente. Mohsen, 29 anni, lavora in una piattaforma petrolifera per due settimane ed è ricercatore nella facoltà di ingegneria. Il suo punto di riferimento politico è il riformista Mohammed Khatami. «Dalla piattaforma dove lavoro ho votato per Hassan Rohani perché spero nel cambiamento. Ho partecipato alle manifestazioni anti-regime contro la rielezione di Ahmadinejad alle porte dell’Università di Mashad nel 2009», racconta Mohsen.

Tutti i suoi amici più cari hanno lasciato il paese o sono stati arrestati negli ultimi anni. Sembra un paradosso, ma proprio la città più conservatrice in Iran ospita, a pochi chilometri dal centro, a Nishapur, la tomba del più grande poeta iraniano di tutti i tempi, Omar Khayyam. Maioliche azzurre chiudono la costruzione che ricorda le sue quartine, ma qui il «vino» tanto decantato dal poeta, viene tradotto come il soffio di uno spirito divino.