Tra le destre dei due mondi
Intervista Il politologo cileno Cristòbal Rovira Kaltwasser parla del populismo radicale che avanza, sia in Europa che nelle Americhe, al grido di «basta democrazia, torniamo a dove eravamo prima». Analogie e differenze
Intervista Il politologo cileno Cristòbal Rovira Kaltwasser parla del populismo radicale che avanza, sia in Europa che nelle Americhe, al grido di «basta democrazia, torniamo a dove eravamo prima». Analogie e differenze
Con risultati alterni e crescita di consensi ovunque, l’estrema destra è diventata una presenza costante dei risultati elettorali europei e di tutto il continente americano. Cristòbal Rovira Kaltwasser, scienziato politico della Pontificia Universidad Catòlica de Chile, studia le destre mondiali in prospettiva comparata a partire dalle vicende latinoamericane. Abbiamo approfittato della sua presenza a Firenze, dove è ospite dell’Istituto Ciampi, sede locale della Scuola Normale Superiore di Pisa, per parlare di cosa siano le destre populiste su entrambe le sponde dell’Atlantico.
«Si era convinti che il quadro politico latinoamericano – dice – fosse diverso dall’europeo, poi è arrivato Trump, seguito da Bolsonaro in Brasile. Ma la situazione brasiliana era condizionata dalla crisi economica e dagli scandali di corruzione e queste circostanze hanno fatto pensare che quel risultato potesse essere un’eccezione. Non era un caso isolato: la sconfitta di Bolsonaro nel 2022 è avvenuta per un soffio (l’1% dei voti), prima era venuta la presidenza di Nayib Bukele in El Salvador e poi quella di Javier Milei in Argentina, mentre in Cile le forze di estrema destra sono cresciute».
Cosa caratterizza quella che lei definisce destra radicale e populista?
Le disuguaglianze del continente rendono complicato vincere cercando consenso con un progetto esplicitamente neoliberista. Così, dopo la transizione alla democrazia la destra tradizionale ha sorvolato sulla dimensione socioeconomica perché sapeva che non avrebbe pagato. Lo stesso fa la destra odierna, che tende a essere neoliberista ma allo stesso tempo cerca consenso soprattutto su questioni di carattere morale e culturale. A divenire oggetto di polemica sono l’aborto, i diritti LGBTQ in combinazione con la dimensione socioeconomica. Questo mix di posizioni ideologiche, cui va aggiunta la caratterizzazione di tutta la sinistra come «comunista/castrista/chavista», rende attraenti queste forze per segmenti diversi dell’elettorato. Ma il successo delle forze della destra è stato favorito dai sistemi presidenziali a doppio turno: Milei ha guadagnato 6 milioni di voti tra primo e secondo turno, molti lo hanno scelto per protestare contro il governo dell’inflazione al 100% (in Francia c’è stato un movimento uguale e contrario, con la protesta contro il pericolo di vittoria del RN, ndr).
Cosa caratterizza i contenuti della destra populista latinoamericana e in cosa si distinguono da quella europea?
A differenza che in Europa e Usa, immigrazione e islamofobia non giocano un ruolo centrale. Per paragonare le destre populiste penso che non dobbiamo guardare ai contenuti in senso stretto ma al messaggio che questi veicolano. Ciò contro cui si scaglia l’estrema destra latinoamericana è il processo di integrazione che i regimi democratici sono stati in grado di garantire. Pur con mille difficoltà e contraddizioni, in Europa si è assistito a un adattamento al multiculturalismo. In America Latina i progressi hanno riguardato le donne, in una certa misura la comunità gay. Proprio a causa di questi progressi abbiamo una reazione che dice «basta, torniamo a dove eravamo prima», con un «prima» che prende forme diverse a seconda del contesto. Il «prima» negli Stati Uniti forse significherebbe un’epoca in cui i neri non potevano votare, in Europa un luogo senza immigrazione e in America Latina una società in cui le donne restano a casa a «fare il loro dovere». Il paradosso è che il successo stesso della democrazia è la ragione per cui stiamo assistendo a una reazione. Un altro aspetto per cui possiamo accomunare le destre mondiali è il populismo radicale. La maggior parte dei partiti di destra afferma di parlare in nome del popolo, sostiene che questo debba essere protetto da forze che ne minacciano l’integrità e la sicurezza. In Europa questo discorso vira verso la xenofobia – «prima gli italiani» o le polemiche recenti sulla doppia cittadinanza in Francia. In America Latina la distinzione è tra brave e cattive persone, i poveri che non si comportano come dovrebbero e vanno puniti. Ed è qui che entra in gioco la promessa di mano dura contro il crimine. El Salvador di Bukele, è l’estrema conseguenza di questo atteggiamento, con incarcerazioni di massa e casuali e il totale dispregio per lo stato di diritto si risolve temporaneamente il problema delle gang ma ci si sbarazza della democrazia liberale.
Chi sono gli elettori della destra populista?
Abbiamo dati buoni solo per Argentina e Brasile. L’elettore di Bolsonaro è più anziano di quello di Milei. In Brasile più sei ricco e istruito, più probabilità hai di votare Bolsonaro. Questa è una differenza con l’Europa e con l’Argentina. Una variabile cruciale è la religione: gli evangelici votano in grande maggioranza per la destra populista – il peso di quel voto è cruciale in Brasile. Le somiglianze tra gli elettorati riguardano una propensione per idee autoritarie, il conservatorismo in materia sociale, il favore per il libero mercato e l’antifemminismo. La destra mobilita segmenti della popolazione non necessariamente simili in termini sociodemografici, il collante è questa somma di idee. A differenza degli anni ’70 questa destra compete nel mercato elettorale, vuole vincere le elezioni, anche se poi non accetta di perdere. Non sto affermando che la versione contemporanea non porti pericoli, ma che il rapporto con il sistema democratico sia diverso. Sono disposti a partecipare e potrebbero erodere la democrazia dall’interno, mentre i militari negli anni ’70 se ne infischiavano dei voti, il potere lo prendevano con la violenza.
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