Trentadue anni di indipendenza e 18 mesi di guerra. È una celebrazione «intrecciata» quella che si è svolta negli ultimi giorni in Ucraina: ciò che sembrava conquistato il 24 agosto 1991 – quando il paese si distaccò ufficialmente dall’Urss – rappresenta oggi l’obiettivo per il prossimo futuro.

«Un’Ucraina indipendente: stiamo combattendo per questo», ha dichiarato il presidente Zelensky nel suo discorso commemorativo, aggiungendo che ciascuno può e deve fare la propria parte nella lotta. Nelle strade centrali di Kiev sono stati esposti carri armati russi catturati nel corso del conflitto, mentre ai piedi del Monumento per l’Indipendenza nella piazza principale (che andò a sostituire una statua dedicata a Lenin) miriadi di piccole bandiere giallo-blu simboleggiano il prezzo in termini di vite umane che la nazione paga per resistere all’invasione di Putin.

APPARENTEMENTE, non si è «festeggiato» solo nella parte di territori non occupati. L’intelligence ucraina ha dato notizia che nella notte fra il 23 e il 24 agosto è stato portato a termine un blitz in Crimea. A Olenivka, ovest della penisola, sarebbero sbarcati uomini di Kiev e avrebbero issato una bandiera ucraina respingendo il fuoco nemico in una piccola schermaglia.

Si tratterebbe della prima volta dall’inizio dell’invasione che militari ucraini mettono piede sul territorio annesso illegalmente dalla Russia nel 2014. Intanto, al fronte sembrano registrarsi alcuni progressi.

È di tre giorni fa l’annuncio della presa di Robotyne, villaggio nella regione di Zaporizhzhia definito da vari analisti di «importanza strategica» soprattutto in vista di un’eventuale pressione su Melitopol attraverso la direttrice di Tokmak. Ieri lo stato maggiore delle forze armate ha dichiarato avanzamenti in altri due piccoli insediamenti.

Intanto, a parziale inversione di tendenza rispetto alle scorse settimane, alcune personalità di spicco dell’ambiente militare statunitense hanno argomentato a favore di un potenziale successo della controffensiva ucraina: così l’ex direttore della Cia David Petraeus in un articolo pubblicato due giorni fa sul Washington Post e il capo di stato maggiore Mark Milley in un’intervista di ieri a un’emittente televisiva giordana.

OCCIDENTE ed Europa appaiono dunque sempre più «allineati» a Kiev. Giovedì il sistema di difesa missilistica Patriot è arrivato per la prima volta in Ucraina dalla Germania e Zelensky ha discusso telefonicamente con Biden la questione dei jet F-16.

A dispetto delle posizioni recalcitranti di Orbán, nei giorni scorsi anche la presidente ungherese Katalin Novak si è recata a Kiev per incontrare l’omologo ucraino e ha dichiarato che Budapest si unirà alle discussioni sul piano di pace formulato dagli ucraini. Così ha annunciato ieri anche la Turchia. Fra anniversari e diplomazia, in tanti sembrano sventolare la bandiera gialloblu. Droni e missili, intanto, sfrecciano in entrambe le direzioni.