Tra aperture sociali e grandi eventi, serve una svolta redistributiva
Giubileo A tre anni dalla rinconquista del Campidoglio, il centrosinistra è alle prese coi cantieri. Il megainceneritore è l’emblema del decisionismo. Ma Roma non si governa in solitaria
Giubileo A tre anni dalla rinconquista del Campidoglio, il centrosinistra è alle prese coi cantieri. Il megainceneritore è l’emblema del decisionismo. Ma Roma non si governa in solitaria
Esattamente tre anni fa, all’ultimo tornante della campagna elettorale che lo avrebbe eletto sindaco, Roberto Gualtieri si mostrò sul palco del comizio finale con i candidati presidenti di municipio. In tempi di personalizzazione della politica e di centralizzazione delle decisioni, il concetto che si voleva far passare era in controtendenza: Roma è città complessa e difficile, cresciuta disordinatamente e senza criterio. Qualche anno fa, Walter Tocci, vicesindaco ai tempi di Francesco Rutelli che non ha mai smesso di ragionare sulla capitale, ha ripreso la suggestione e pasoliniana di Roma «città coloniale». La formula serviva a indicare lo sviluppo repentino e disordinato di una città che sfuggente e ingovernabile. Che non si può amministrare in solitudine. L’apertura ai territori di Gualtieri conteneva la promessa del dialogo con la società e con pezzi di città troppo spesso ignorati dalla politica.
L’altro impegno del sindaco riguardava i grandi eventi, sui quali fin da subito ha detto di voler puntare per rattoppare a ammodernare una città da troppo tempo ferma. Si guardava alla scommessa dell’Expo, poi tristemente naufragato per responsabilità in minima parte dell’amministrazione attuale, alle certezze del Giubileo del 2025 e, in aggiunta, ai quattrini del Pnrr.
È impossibile non notare la potenziale contraddizione tra i due piani: un governo cittadino finalmente policentrico e aperto ai processi sociali e i grandi eventi, storicamente occasione di verticalizzazione delle scelte e ridisegno delle città a fini speculativi. L’esempio più clamoroso di questo approccio è la scelta di costruire il megainceneritore. Opera impegnativa e controversa, annunciata dal sindaco un giorno all’altro contro il parere della Cgil, di Legambiente, di un pezzo di città e di una parte rilevante della stessa maggioranza.
Ancora una volta, bisogna guardare al passato per ricordare che la prima mobilitazione dei migranti a Roma (l’occupazione della grande fabbrica abbandonata della Pantanella, subito a ridosso delle mura della città storica) fu diretta conseguenza della cacciata dei più poveri dal centro in occasione dei mondiali di calcio di Italia 90. In quel luogo a suo modo profetico per la città a venire si verificò la convergenza della Caritas diocesana di don Luigi Di Liegro e i movimenti antirazzisti.
Gualtieri, che gode dei poteri commissariali sul Giubileo e sull’inceneritore, si aggira con caschetto giallo su TikTok per spiegare lo stato delle trivelle e delle betoniere. È preso dai cento cantieri che puntellano Roma. Pochi giorni fa ha annunciato la messa a terra di circa 100 milioni di euro di opere di urbanizzazione secondaria. Molti di più ne arriveranno dal Pnrr. Le transenne e le gru agli occhi dei denigratori rendono la città ancora più invivibile. Al punto che proprio l’altro giorno il segretario della Cgil di Roma e del Lazio Natale Di Cola ha proposto di allargare il più possibile lo smart working: «Non c’è altra via d’uscita – ha spiegato – Non esiste nessuna valutazione dell’impatto dei cantieri sulla città ed è da un anno che avvisiamo che la città non avrebbe retto».
Nelle parole del sindaco tutto ciò è un male necessario, premessa di una città nuova dopo gli anni dei cassetti vuoti della giunta Raggi: «Senza cantieri non ci sono disagi ma senza cantieri non c’è nemmeno futuro», dice. Ma rischia di dimenticare ancora la città solidale, di trincerarsi in Campidoglio di fronte alla sfida oggettivamente infernale di dare un segnale di svolta alla capitale. Questa è l’eredità più pericolosa della Roma di Walter Veltroni, il sindaco che ha messo in pratica una sorta di trickle-down economy all’amatriciana, impossibile mix tra Reagan e Petroselli: l’idea era che internazionalizzare la città, aprirla ai mercati internazionali e ai grandi fondi, farla tornare a crescere fosse di per sé sufficiente a redistribuire la ricchezza. I fatti hanno dimostrato che servono progetti ad hoc e misure specifiche, sebbene c’è da segnalare che la Roma di Gualtieri ha scelto di rompere i divieti dell’articolo 5 del Ddl Lupi che impedisce a chi vive in una casa occupata o in alloggio di fortuna di ottenere la residenza, accedere ai diritti, chiedere l’allaccio alle utenze.
Eppure la capitale potrebbe segnalare inversioni di tendenza e dunque cogliere in castagna il governo nazionale su diverse cose: i danni dell’economia da bar del turismo mordi e fuggi, il diritto alla casa, le emergenze sicurezza continue usate come alibi per torsioni autoritarie, persino la questione della guerra, visto l’inquilino che si affaccia Oltretevere. Si tratterebbe, insomma, di pensare in grande, ma dando ascolto ai piccoli.
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