Quanta sicurezza per una società ineguale?
Città vivibili Il quartiere Esquilino di Roma, ad ondate, vede discussioni sul livello di pericolo che i suoi abitanti corrono. Più che “multietnico”, il quartiere è rigidamente diviso. Migranti di diverse nazionalità, vecchi abitanti che sono riusciti a tenersi la casa, nuovi acquirenti borghesi, vecchi e nuovi fascisti si incontrano e scontrano da quasi trent’anni
Città vivibili Il quartiere Esquilino di Roma, ad ondate, vede discussioni sul livello di pericolo che i suoi abitanti corrono. Più che “multietnico”, il quartiere è rigidamente diviso. Migranti di diverse nazionalità, vecchi abitanti che sono riusciti a tenersi la casa, nuovi acquirenti borghesi, vecchi e nuovi fascisti si incontrano e scontrano da quasi trent’anni
Quanta sicurezza personale, incolumità fisica si può reclamare quando la povertà dilaga, il razzismo istituzionale e sociale si impone, quando il disagio psichico si diffonde? Chi vive nel quartiere Esquilino di Roma è costretto a chiederselo. Giuseppe Sarcina, sul Corriere della Sera di qualche settimana fa diceva che la sicurezza debba tornare ad essere un tema di sinistra, seguendo gli esempi di Kamala Harris, Olaf Scholze e Keir Starmer. Trascurava, o fingeva di non sapere, che la discussione sul rapporto tra sinistra e sicurezza abbia molti anni, come ricostruito recentemente da Tamar Pitch.
La versione semplice di questa storia è che la sicurezza repressivo-poliziesca e proprietaria abbia sopravanzato quella sociale ed economica – e sulla ricostruzione di questo passaggio L’insicurezza sociale (Einaudi) di Robert Castel è insuperata. L’estrema destra spostando il problema su un terreno di gioco favorevole vince agevolmente la partita. Pertanto, per ragioni elettorali, il centro-sinistra ha cercato di inseguirla ingentilendo il principio repressivo. Tuttavia sull’effettivo grado di “gentilezza” dei Decreti Orlando-Minniti del 2018 ci sarebbe molto da opinare. Il quartiere Esquilino di Roma, ad ondate, vede discussioni sul livello di pericolo che i suoi abitanti corrono. Più che “multietnico”, il quartiere è rigidamente diviso.
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L’aria malata nei porti italianiMigranti di diverse nazionalità, vecchi abitanti che sono riusciti a tenersi la casa, nuovi acquirenti borghesi, vecchi e nuovi fascisti si incontrano e scontrano da quasi trent’anni. La centralità geografica del quartiere lo rende particolarmente appetibile ma la vicinanza con la stazione rende difficile la vita per chi vive nei suoi pressi. Rincasare la sera, se si vive nelle strade più buie e prive di negozi o di strade frequentate, può essere pericoloso. A venir aggrediti per futili motivi o derubati può esser chiunque. Sembra superfluo dirlo ma in tempi postfascisti invece repetita iuvant: criminali possono essere italiani e vittime gli stranieri. Il disagio attraversa le appartenenze nazionali e colpisce più duramente per classe.
Il costo di un danno, che pure può essere non solo economico, ovviamente è diverso a seconda del reddito: un borghese che viene scippato non perde molto. Invece, il vetro di una macchina sfondato a chi ha solo quella, e magari la usa per lavoro, non favorisce i buoni sentimenti e un rapporto non forcaiolo con la giustizia. Una donna aggredita o molestata è una donna aggredita o molestata. Il quartiere è pieno di polizia e carabinieri (ci sono quattro commissariati a pochi metri di distanza) ma la loro efficacia non è visibile, per incapacità o volontà politica che sia.
Negli anni si sono succeduti diversi comitati di quartiere volti a dare una torsione razziale al problema e a chiedere nuovi strumenti repressivi – anche in difesa degli aumentati valori immobiliari. Federico Mollicone (FdI), presidente della Commissione Cultura alla Camera, voleva internare tutti gli extracomunitari per ragioni di sicurezza. Molti cittadini del quartiere eran d’accordo. Così come la profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine nei giardini di Piazza Vittorio, l’accanimento nel chiedere i documenti a chi non li ha, è vista da molti residenti come una pratica di pulizia/polizia legittima invece che come una delle forme che l’integrazione subalterna dei cittadini postcoloniali assume.
Nanni Balestrini, che visse in Via Merulana, non a caso, a fine anni ’90 scriveva in un commento per Repubblica di istinti genocidari nel quartiere. Al contempo, venticinque anni dopo, resistono molte associazioni come quella dei genitori della scuola Di Donato o l’occupazione abitativa di Spin Time che insieme hanno dato vita al Polo Civico Esquilino. Questi gruppi organizzano così eventi culturali, distribuzione di cibo e coperte d’inverno (ad esempio Mama Termini o Nonna Roma), proteste politiche, mediazioni istituzionali, flashmob.
Due anni fa ad esempio ci fu una protesta contro la chiusura del sottopasso Turbigo della stazione Termini organizzata Termini Tv, gruppo che si occupa di dare una diversa visibilità a chi è escluso dal benessere. Il comune voleva nascondere i senza tetto, non trovare loro una soluzione abitativa. Oggi gli stessi vengono cacciati dalle mura aureliane di poco distanti. Lo sgombero ha scatenato la protesta della coordinatrice della segreteria nazionale del Pd Marta Bonafoni e della sezione di partito locale. Successivamente però il II municipio, a guida centro-sinistra, e il Polo civico hanno trovato delle soluzioni per alcuni. Le contraddizioni esistono. Rimane la domanda su quanta sicurezza si possa “comprare” (e rivendicare come diritto) in una società razzista e economicamente violenta come quella in cui viviamo. Non si sceglie con chi coabitare. Al contrario si può contribuire a evitare che qualcuno lo espella in quanto rifiuto. E si può creare una sicurezza sociale che non sia la maschera dell’odio.
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