L’aria malata nei porti italiani
Inchiesta Da Genova a Livorno, da Civitavecchia ad Ancona, la ribellione dei cittadini delle città che respirano i fumi delle navi. Le azioni della rete Facciamo respirare il Mediterraneo
Inchiesta Da Genova a Livorno, da Civitavecchia ad Ancona, la ribellione dei cittadini delle città che respirano i fumi delle navi. Le azioni della rete Facciamo respirare il Mediterraneo
In una qualunque giornata, in qualunque porto, fumi nerissimi, quasi uscissero da una centrale a carbone d’altri tempi, si disperdono provenendo dai camini dei traghetti che assicurano la continuità territoriale verso le nostre isole, il turismo e la mobilità di persone e merci verso le coste dei paesi del Mediterraneo.
Fumi che il vento «di mare» fa finire nelle case e nelle strade delle nostre città di porto e che quello «di terra» spinge al largo, dove le sostanze tossiche di cui sono impregnati ricadono sulla superficie del mare.
I CITTADINI DELLE CITTÀ DI PORTO SONO ORMAI consapevoli del rischio, dopo che uno studio svolto a Civitavecchia dal Dipartimento di Epidemiologia del Lazio ha stimato a carico dei residenti che vivono entro i 500 metri dal porto un incremento del rischio di mortalità del 31% per tumori ai polmoni e del 51% per malattie neurologiche rispetto alla popolazione non esposta ai fumi delle navi.
Secondo uno studio del dipartimento di epidemiologia del Lazio, il rischio di mortalità per chi vive entro i 500 metri dal porto di Civitavecchia aumenta del 31% per i tumori e del 51% per le malattie neurologiche
E che un altro studio del Cnr-Irbim ha stimato un eccesso di mortalità prematura per patologie cardiovascolari e respiratorie per gli adulti e un rilevante eccesso di asma (+40%) della popolazione infantile residente entro gli 800 metri dal porto di Ancona, raccomandando al Comune di «avviare prioritariamente un rapido processo di riduzione dell’emissione delle sostanze inquinanti, in particolare quelle provenienti dal porto e dal traffico stradale».
Un recente studio condotto dal Cnr-Ibim ha rilevato un eccesso di asma (+40%) della popolazione infantile residente entro gli 800 metri dal porto di Ancona
A FRONTE DI QUESTO QUADRO sconfortante i cittadini attivi nei porti italiani, uniti nella rete nazionale Facciamo respirare il Mediterraneo, organizzano azioni coordinate e iniziative locali che iniziano a spostare a loro favore l’ago dell’attenzione di chi questo tema governa.
DAL 2015 CHIEDONO – con il coordinamento dell’associazione Cittadini per l’Aria a sua volta in rete con il mondo ambientalista attivo negli altri paesi mediterranei e in Europa – l’istituzione dell’Area a basse emissioni di zolfo e biossido di azoto come già esiste da molti anni nel Mare del Nord, nel Mar Baltico e nel Canale della Manica.
E se la prima – l’Area Seca – entrerà in vigore il 1 maggio 2025, costringendo le navi a ridurre di quattro quinti, rispetto ad oggi, le emissioni di zolfo dai camini, l’Area Neca, che imporrebbe almeno alle nuove navi motori con emissioni ridotte di ossidi di azoto, si intravede in un orizzonte ancora lontano che si dipana nei negoziati condotti, in un contesto geopolitico non semplice, nell’ambito del Mediterranean Action Plan, il sistema che supporta in ambito UNEP l’adempimento alla Convenzione di Barcellona per la Protezione dell’ambiente marino e le aree costiere del Mediterraneo.
PASSI IMPORTANTI- LE ECA – PER ACCORCIARE la distanza fra l’industria degli armatori, rimasta indenne per decenni da obblighi e limitazioni ambientali, e quella degli altri settori che hanno subito nell’ultimo 30ennio una crescente regolamentazione. Ancora tuttavia insufficienti a rendere l’industria navale ambientalmente sostenibile.
UNO DEI PUNTI CRITICI DEL NOSTRO PAESE è rappresentato dai controlli sui già scarsi obblighi ambientali che vincolano le navi. Le Capitanerie hanno, infatti, la delega a verificare a bordo delle navi la regolarità del carburante utilizzato quanto a tenore di zolfo, da cui dipende il grado di tossicità dei fumi emessi.
La realtà, neanche più sottaciuta, è che, secondo un decreto e una circolare del 2016 del Reparto Ambientale Marino del Ministero dell’Ambiente di cui Cittadini per l’aria ha chiesto la revoca, i controlli possono svolgersi solo dopo che l’armatore abbia pagato il prezzo dell’analisi preannunciata dalla Capitaneria lasciando così alla nave il tempo necessario a sostituire il carburante con quello prescritto dalla legge.
A difendersi dai fumi a Genova – dove il biossido di azoto delle navi provoca 220 morti premature ogni anno – ci sta pensando la rete delle «sentinelle dei fumi», con monitoraggi quotidiani che vengono inviati alla capitaneria
A DIFENDERSI DAI FUMI A GENOVA – dove il biossido di azoto dalle navi rappresenta la metà del totale dell’NO2 in città e causa, secondo uno studio pubblicato da Lancet, quasi 220 morti premature all’anno – ci sta pensando la rete delle «sentinelle dei fumi», prevalentemente composta da cittadine che decine di volte al giorno inviano alla capitaneria report dettagliati sui fumi avvistati dalle loro finestre, con orario, durata, identificazione della nave responsabile, grado di opacità dei fumi in base alla scala Ringelmann.
Un’iniziativa – unica e prima in Italia – che ha il merito di aver costruito una collaborazione virtuosa, sino a pochi mesi fa e in altre città di porto ancora impensabile, fra cittadinanza e capitaneria e mosso quest’ultima a intensificare i controlli non solo sullo zolfo ma anche su NOx e CO2, ottenendo, in pochi mesi, una significativa riduzione della fumosità delle navi.
IN PARALLELO SI MUOVE LIVORNO, dove l’associazione Livorno Porto Pulito ha ottenuto, dopo quasi due anni di richieste alle autorità locali, l’emanazione da parte della Capitaneria di Porto di un’ordinanza che impone alle navi di utilizzare un carburante più pulito all’arrivo in porto. E che da qualche settimana sta monitorando i picchi di concentrazione di black carbon che si rilevano in associazione alle manovre e agli arrivi delle navi in porto.
IL LUOGO COMUNE CHE DIPINGE IL TRASPORTO marittimo come relativamente poco inquinante non fa i conti con la crescita vertiginosa della globalizzazione, del conseguente commercio internazionale, del turismo crocieristico e del fatto che le navi, innanzitutto quelle da crociera il cui peso ambientale e gigantismo dilaga nel Mediterraneo creando conflitti nelle città di porto, non inquinano solo in navigazione, ma tanto, troppo, in porto, sotto le finestre delle case, sostando per giorni interi a motori accesi.
E non tiene conto del fatto che il loro peso climatico, se non governato adeguatamente è destinato ad aumentare, secondo le proiezioni della Commissione Europea, dall’odierno 3% della CO2 a livello globale (5,3% delle emissioni da trasporto a livello nazionale), del 130% al 2050 rispetto al 2008.
UNA REALTA’ CHE INDICA COME L’ITALIA debba impegnarsi affinché nei suoi tanti porti vengano installati al più presto sistemi di monitoraggio delle concentrazioni degli inquinanti, oggi inesistenti, per assicurare l’adempimento ai limiti che la nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria prevede al 2030 e che a quella data – quando la gran parte delle navi più grandi dovrà allacciarsi all’alimentazione elettrica in banchina e dopo un lustro di interventi per la decarbonizzazione – si possano vedere nei nostri porti monitoraggi dei fumi con boe e droni, navi con scafi sempre più efficienti, batterie e vele a rotore e, non ultimo, rotte elettrificate per le isole.
INFINE, SERVE UN’AZIONE PUBBLICA di responsabilità volta al contenimento del peso ambientale, territoriale e sociale riconducibile all’industria navale, che limiti l’attuale spinta di espansione di infrastrutture, cominciando da quelle a supporto dello sviluppo delle crociere e quelle volte a favorire l’utilizzo del gas naturale liquefatto come carburante «di passaggio», destinato al contrario a incrementare l’impatto climatico dell’industria navale drenando al contempo risorse preziose per la decarbonizzazione del settore.
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