«Toxic», la costante battaglia per essere donne
Locarno 77 Il Pardo d'Oro dell'edizione 2024 è l'esordio della lituana Saulé Bliuvaité, incentrato sull'apprendistato delle modelle. Il femminile protagonista anche in "Mond" dell'irachena Kurdwin Ayub, premio speciale della giuria
Locarno 77 Il Pardo d'Oro dell'edizione 2024 è l'esordio della lituana Saulé Bliuvaité, incentrato sull'apprendistato delle modelle. Il femminile protagonista anche in "Mond" dell'irachena Kurdwin Ayub, premio speciale della giuria
Saulé Bliuvaité, lituana, ha trent’anni, Toxic è il suo primo film e ha vinto il Pardo d’oro nel palamarès della giuria guidata da Jessica Hausner (Lourdes; Club Zero) che ha messo al centro storie e figure femminili. Intorno a una giovane donna occidentale e al suo «clash» con l’universo per lei insondabile di una famiglia miliardaria giordana è costruito il premio speciale della giuria Mond di Kurdwin Ayub, irachena, che vive a Vienna, artista e performer; una storia che non lavora solo sulla distanza (percettiva) fra occidente e oriente ma ruota soprattutto intorno alla rappresentazione della donna e allo sguardo che diverse donne posano su se stesse. Dal corpo mascolinizzato della protagonista, ex campionessa e ora allenatrice di arti marziali a quello attento a ogni dettaglio del «femminile» come rappresentazione stereotipata delle sue giovani allieve, tre sorelle prigioniere nella lussuosa dimora in una costante rifrazione di immaginari e di consapevolezze del mondo. E due figure femminili costituiscono il riferimento di Drowing Dry di Laurynas Bairesa, migliore regia (e premio al cast) un film raggelato nella sua messinscena che sembra spesso voler stupire.
Parlando di Toxic Bliuvaité ha raccontato che l’ispirazione le è venuta vedendo un film, Girl Model (di Ashley Sabin e David Redmon) nel quale si raccontavano i «casting» di modelle in Russia dei «talent scout» europei che le spedivano in Giappone.
«MI SONO resa conto di aver visto me stessa in questo film: ragazze molto pallide, molto, molto giovani. E ricordo che ho iniziato a collegare queste scene, questa atmosfera con le mie esperienze di quando avevo tredici anni e sognavo di diventare una modella. Credo che a quel tempo, nel 2008, fosse un desiderio molto diffuso, era una moda soprattutto nei Paesi baltici. La gente andava a cercare queste ragazzine magrissime, e c’erano numerose agenzie a cui ci presentavamo all’infinito. Ricordo queste lunghe file di ragazze che stavano lì e sembravano dei cloni, con gli stessi vestiti e tutto il resto». Toxic già nel titolo fonde questa duplice «tossicità» che è interiore e di un esterno in cui le ragazzine protagoniste sono portate a confrontarsi con una costante violenza da cui non vengono escluse neppure le relazioni fra di loro, in cui si rispecchia il luogo sperduto di miseria in cui vivono – un villaggio remoto nella Lituania, senza orizzonti. Nella storia che diviene anche quella di un’amicizia fra due adolescenti, unite dalla solitudine di un’indifferenza famigliare – l’una col padre e l’altra con la madre – il punto di fuga si profila in una strana scuola per modelle che impone alle ragazzine una costante pressione di cui i corpi sono mappa, materia, strumenti per prove dolorose.
È UN COMING OF AGE Toxic che affronta la sua riconoscibilità «letteraria» con una sicurezza narrativa (la regista ha scritto la sceneggiatura) di cui appunto la fisicità delle due giovani protagoniste – entrambe bravissime e anche dirette con cura – sono Vesta Matulyte e Ieva Rupeikaite – è il punto di partenza e la materia, in una relazione con la realtà in cui essere donna implica una battaglia aspra intima e verso il resto del mondo.
Bliuvaité afferma un suo sguardo in una selezione quale è stata quella del concorso di Locarno, fatta da film spesso intrappolati nella loro ricerca formale ma incapaci di respirare, di prendere un proprio indirizzo, di assumere dei rischi – cosa che invece, ciascuno a suo modo accade nei film italiani, Luce di Silvia Luzi e Luca Bellino e Sulla terra leggeri di Sara Fgaier, rimasti purtroppo fuori dai premi. A loro modo anch’essi troppo «a tema», e che hanno escluso quella parte di maggiore sperimentazione.
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