Come ogni volta (sono oltre quaranta i suoi film, recita il catalogo), prima di ogni cosa (anzi, al di là della «cosa»), il cinema di Ben Rivers, tanto più questo ultimo, magnifico Bogancloch in concorso a Locarno, è tutta una trama di riflessi insidiati dall’ombra, e in effetti i primi cinque minuti del film sono immersi nell’oscurità, in un’effusione totale tra schermo e sala, una comunione tra la brughiera e la tappezzeria rossigna del Kursaal –; è cinema di forma, cinema concentrato sul «come vedere, inquadrare» e solo in seconda battuta sguardo gettato sull’oggetto. È come se piuttosto che ciò...