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Toni trionfalistici o derive xenofobe, così non funziona

I toni trionfalistici ascoltati a Roma da parte del presidente Macron e del presidente Gentiloni sui successi del controllo dei flussi migratori mal si addicono alle cifre riportate nelle stesse […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 16 gennaio 2018

I toni trionfalistici ascoltati a Roma da parte del presidente Macron e del presidente Gentiloni sui successi del controllo dei flussi migratori mal si addicono alle cifre riportate nelle stesse ore dalle organizzazioni internazionali sulla situazione del Mediterraneo: 200 tra morti e dispersi in soli quattro giorni, 840 persone sbarcate da inizio anno e almeno 800 persone intercettate dalla guardia costiera libica e riportate indietro nell’inferno ormai ben noto a tutti.

Omissioni che ben rappresentano la difficoltà di giustificare l’approccio scelto da entrambi i paesi per affrontare la questione migratoria, puntando sull’esternalizzazione delle frontiere e il rafforzamento degli apparati militari e di sicurezza dei paesi di origine e transito, senza però essere nelle condizioni di esigere dai propri interlocutori le condizioni minime di rispetto dei diritti umani. A partire dalla Libia.

L’unica nota positiva è il piano dell’Unhcr di evacuazione delle persone più vulnerabili registrate in Libia – la stima è di 1.300 entro gennaio – e di trasferimento di richiedenti asilo dal Sahel e dal Corno d’Africa in Europa, per un totale di 40.000 beneficiari entro la fine del 2018.

Sempre che gli Stati membri accettino di farsene carico. Ma evidentemente non basterà fino a che non diventerà una priorità – e un prerequisito di qualsiasi azione esterna verso paesi terzi – assicurare canali umanitari per le persone bisognose di protezione e fino a che non si avrà la lucidità di adottare un approccio a lungo termine verso la migrazione economica, attivando vie legali di accesso per lavoro a livello nazionale e a livello europeo.

Non si è parlato nel vertice romano di quanto avviene ormai da tempo ai confini tra Italia e Francia: respingimenti in automatico, a prescindere dalle condizioni individuali dei migranti, siano essi donne incinte o minori non accompagnati, violando sistematicamente lo stesso regolamento di Dublino a cui con tanta solerzia si rifanno per giustificare le riammissioni di massa nel nostro paese. Difficile sostenere che vanno accolti quanti hanno bisogno di protezione se nessuno degli eventuali richiedenti ha la possibilità di esprimere quella volontà. Del resto la riforma del diritto d’asilo in corso in Francia ha molti punti in comune con quanto fatto recentemente dal governo italiano, dalla drastica riduzione dei tempi per l’iter della richiesta – a scapito di alcune garanzie – all’intensificazione di espulsioni e rimpatri.

Tutto ciò mentre nel nostro paese, puntuali come in ogni campagna elettorale, risuonano i toni xenofobi dei soliti imprenditori politici della paura che arrivano a dichiarare che tutti i migranti sbarcati sono delinquenti, al di là di dati facilmente verificabili. E mentre si va avanti con gli interventi per contrastare l’irregolarità senza però affrontare le cause vere del fenomeno e mettere finalmente mano alla legge Bossi-Fini, normativa restrittiva e iniqua che non ha fatto altro che ostacolare percorsi di legalità e integrazione.

È stato riaperto l’ex-Cie, ora Cpr, a Bari e pochi giorni fa quello di Palazzo San Gervasio, strutture già teatro di sofferenze e di attese lunghissime e inutili, vista la ben nota difficoltà nel rimpatriare i cittadini stranieri riscontrata da quando i centri di espulsione sono stati introdotti. Siamo sicuri che la soluzione all’irregolarità nel nostro paese siano i Cpr? E che si riesca davvero a rimpatriare le decine di migliaia di cittadini stranieri che hanno ricevuto risposta negativa alla domanda d’asilo? Non sarebbe meglio, come abbiamo proposto e come chiedono anche molti amministratori e imprenditori, offrire la possibilità al richiedente che è stato formato e che ha un datore di lavoro pronto ad assumerlo, di regolarizzarsi senza rischiare di vivere illegalmente? E più in generale, pur consapevoli delle difficoltà esistenti, abbiamo il coraggio di investire finalmente sull’integrazione, a partire dalla formazione e dall’accesso al lavoro, dal coinvolgimento dei territori, moltiplicando le buone prassi esistenti?

Su questo vorremmo confrontarci nelle prossime settimane, senza eludere i nodi critici e riportando la discussione sull’immigrazione in una visione più lucida e consapevole di governo del fenomeno.

*promotori di +Europa con Emma Bonino

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