Cultura

Tokyo, vagabonde sfumature di desiderio

Tokyo, vagabonde sfumature di desiderioUn’immagine della mostra ospitata dal Maxxi foto di Manuela De Leonardis

Oltre lo sguardo Al Maxxi di Roma gli scatti di Daido Moriyama con Shomei Tomatsu. Nel cuore dell’odierno «mondo fluttuante» tra luci al neon, nightclub e karaoke della zona di Shinjuku. Una serie di immagini crude raccontano con lo stesso coinvolgimento le pulsioni sessuali e le battaglie di strada tra gli studenti e le forze dell’ordine

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 8 maggio 2022

La frenesia di Tokyo con l’energia pulsante di luci al neon di nightclub e karaoke, grattacieli e incroci pedonali intasati di persone in movimento è concentrata nel quartiere di Shinjuku, dove la notte insegue il giorno con una brama di vitalità. Ma Shinjuku, sia per Shomei Tomatsu (Aichi 1930-Naha 2012) che per il suo «allievo» Daido Moriyama (Ikeda 1938, vive e lavora a Tokyo), è molto più che un semplice luogo geografico da cui trarre ispirazione, come appare evidente nella mostra Tokyo revisited. Daido Moriyama con Shomei Tomatsu. Curata da Hou Hanru e Elena Motisi nella galleria 3 del Maxxi di Roma (fino al 16 ottobre), la mostra nasce dalla collaborazione con la Mep-Maison Européenne de la Photographie di Parigi che nel 2021 ha organizzato Moriyama-Tomatsu: Tokyo. Oh! Shinjuku (1969) è proprio il titolo del libro che gli dedica Tomatsu: espressione dell’essenza di un linguaggio fotografico impregnato di ideali politici.

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IL FOTOGRAFO, fondatore nel 1959 dell’agenzia fotografica Vivo insieme a Ikko Narahara e Eikoh Hosoe, registra con immagini crude le sfumature del desiderio e le pulsioni sessuali con lo stesso coinvolgimento con cui racconta le lotte di potere tra studenti e forze dell’ordine. In particolare gli scatti delle manifestazioni contro la guerra in Vietnam del 21 ottobre 1968 confermano il ruolo della fotografia come manifesto del movimento di protesta antimilitarista e antiamericana nella registrazione dei cambiamenti socio-politici del Giappone del dopoguerra. In questo senso è emblematico il libro Hiroshima – Nagasaki Document 1961, realizzato da Tomatsu a quattro mani con Ken Domon.

Un’immagine della mostra Tokyo revisited

L’INTERPRETAZIONE e la celebrazione del presente è anche il fil rouge che attraversa tutto il lavoro di Daido Moriyama: è sua la grafia dei neon gialli «Tokyo» e «Shinjuku». «Non c’è una narrazione continua, ma un continuo sovrascriversi di informazioni, visioni, ambienti, immagini», afferma Elena Motisi.

La compulsiva osservazione del famosissimo fotografo giapponese si traduce in una collezione del flusso di immagini che appaiono davanti ai suoi occhi: altrettante sono quelle del «mondo non visibile» a cui allude costantemente. Camminando, vagabondando come quello «stray dog» che è una delle sue foto più iconiche, Daido-san rivela la sua completa immersione nel «mondo fluttuante contemporaneo» anche attraverso autoscatti che lo mostrano riflesso nelle pozzanghere o nelle vetrine dello stesso scenario urbano che continua a fotografare con la stessa libertà di sempre, proprio come quando posa con la maglietta a righe davanti al fondale neutro nella serie Labyrinth (2012).ù

NELLE OLTRE 500 IMMAGINI fotografiche in mostra, tra stampe ai sali d’argento, stampe a getto d’inchiostro e polaroid, accompagnate dai video e da un’intera sezione dedicata all’editoria fotografica, lo sguardo anticonformista dei due maestri s’intreccia nell’intercettare le avanguardie artistiche, il movimento Neo-Dada, la danza Butoh, il cinema, ritraendo personaggi noti come la cantante e attrice Fuji Keiko, il coreografo e danzatore Akaji Maro, l’attore Shimizu Isamu o anche performer anonimi incontrati per caso, come i feti della serie Pantomime (1964) fotografati da Moriyama in un ospedale ginecologico della prefettura di Kanagawa: embrioni galleggianti nei barattoli di formaldeide. Loro stessi diventano protagonisti in Mr. Freedom, nei due scatti a colori firmati da Shomei Tomatsu: The photographer Shomei Tomatsu (1978) e The photographer Daido Moriyama (1975).

Un’immagine della mostra Tokyo revisited

SE TOMATSU INDOSSA i panni di un uomo trasandato con il cappello di paglia e ai piedi le tradizionali «yoryu zoori», Daido Moriyama sembra una geisha impassibile davanti al fondale azzurro. «Anche se ho esitato un momento a quel pensiero, alla fine ho accettato perché mi sembrava divertente vestirsi come i ragazzi nei bar gay di Shinjyuku 2-chome che in quel momento frequentavo spesso – ricorda Moriyama – Tuttavia, quando qualche giorno dopo Tomatsu-san mi portò in un piccolo studio fotografico, si scoprì che il costume che aveva preparato per me era un abito da sposa. Non avevo scampo. Stavo per rifiutare ma era troppo tardi. Ero lì, travestito e con la faccia incipriata in presenza di Tomatsu, bastardo!».

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