Sul palazzo del governo metropolitano di Tokyo presto sventolerà la bandiera arcobaleno. Il governo dell’area più densa del Paese si prepara al riconoscimento delle unioni civili omosessuali a partire dal prossimo novembre, confermando un percorso voluto dalla governatrice di Tokyo, Yuriko Koike. Non è un provvedimento ancora confermato, eppure il governo locale sembra voler andare verso una maggiore tutela dei diritti della comunità Lgbtq giapponese.

Le autorità locali dal prossimo mese dovranno discutere un emendamento proposto su un’ordinanza già esistente, la cui approvazione permetterà di accettare le domande per i certificati di unione civile dal prossimo ottobre e di emetterli dal mese successivo. Un passo in avanti per una città con una popolazione di 14 milioni di abitanti. Il documento permetterà alle coppie omosessuali di ottenere certificati per l’affitto di un alloggio oppure, più semplicemente, consentire le visite in ospedale al partner ricoverato.

Anche i criteri per accedere alla misura sono pensati per garantire una maggiore inclusività alle coppie dello stesso sesso: entrambi i partner devono avere almeno 18 anni, con almeno uno di loro che risiede, lavora o studia nella capitale giapponese. Come si legge nella bozza del provvedimento, non ci saranno limiti legati alla nazionalità, e dunque saranno inclusi anche i cittadini stranieri che soddisfano i requisiti richiesti.

La città di Tokyo sarà quindi la nona tra le 47 prefetture del Giappone a introdurre un simile provvedimento. Il distretto di Shibuya di Tokyo nel 2015 è stato il primo a rilasciare certificati di unione non legalmente vincolanti alle coppie dello stesso sesso, seguito poi da almeno 200 municipalità in tutto il Giappone. Si rafforza così un impianto legislativo che già presenta dei provvedimenti per tutelare i diritti Lgbtq: nel 2019, il governo della capitale giapponese ha introdotto una legge contro le discriminazioni omosessuali e ora si appresta a equiparare le coppie dello stesso sesso a quelle eterosessuali.

Ma c’è un limite evidenziato dagli attivisti di Marriage for All Japan, che hanno giustamente osservato come le unioni civili non abbiano gli stessi effetti legali del matrimonio. I sostenitori dei diritti Lgbtq esigono un riconoscimento esteso a tutto il territorio nazionale per permettere all’unico paese tra quelli del G7 di approvare le unioni legali per le coppie omosessuali. Una richiesta che risponde all’alto indice di approvazione dei matrimoni tra le persone dello stesso sesso: un sondaggio condotto dal quotidiano Asahi lo scorso marzo racconta come il 65 per cento della popolazione sia a favore del matrimonio omosessuale.

A frenare su una maggiore apertura al tema è il partito Liberaldemocratico – che governa il paese da almeno sette decenni, lasciando per breve tempo e a fasi alterne la guida del paese all’opposizione – nonostante i recenti sviluppi giudiziari. Lo scorso anno, infatti, il tribunale distrettuale della città di Sapporo ha riconosciuto il diritto costituzionale del matrimonio omosessuale. Ma il primo ministro giapponese Fumio Kishida si muove con cautela e non parla della possibilità di modifiche legislative a livello nazionale per riconoscere le unioni tra persone dello stesso sesso. Il premier nipponico, leader del partito conservatore, rimane quindi coerente con le affermazioni fatte in campagna elettorale, secondo cui non è ancora arrivato il momento di riconoscere il matrimonio delle coppie omosessuali. Adesso però il leader giapponese dovrebbe guardare alle misure prese a livello locale e ascoltare l’opinione pubblica.