Quello della perdita della memoria – e di come farci i conti – è un tema che è emerso più volte nella produzione artistica quest’anno, nel cinema in particolare nel bellissimo film di Víctor Erice Cerrar los ojos; nel teatro nostrano pensiamo ad un lavoro recente come Il grande vuoto di Fabiana Iacozzilli. L’evaporazione dei ricordi porta con sé questioni come l’identità, la fragilità, il prendersi cura; ma quando la persona rappresenta la memoria di un Paese intero, la complessità è ancora maggiore. È questo il caso di Augusto Góngora, figura chiave della cultura cilena: negli anni di Pinochet fu attivo nei media clandestini per raccontare la realtà che il regime occultava, in seguito scrisse libri fondamentali sulla storia di quel periodo, e dopo anni da conduttore televisivo diverrà il responsabile dell’area culturale della tv pubblica cilena. È lui uno dei due protagonisti di The Eternal Memory, il documentario di Maite Alberdi che dopo le presentazioni a Sundance, Berlinale, Festa di Roma arriva oggi nelle sale italiane.

GÓNGORA, affetto dal morbo di Alzheimer, non è solo: accanto a lui c’è Paulina Urrutia, un’altra figura di primo piano, attrice e politica fu Ministra della Cultura. Alberdi riprende le loro giornate, e si viene trasportati in una tenerezza dolorosa, che forse è in fondo l’essenza dell’amore tra due persone. Urrutia è caregiver attenta e precisa ma allo stesso tempo non fa a meno delle sue passioni e del teatro in maniera particolare.
Mentre mostra le dinamiche di questa relazione, la regista rievoca poi il percorso di vita di Góngora con numerosi materiali di repertorio, le sue infinite conversazioni nei caffé con artisti e intellettuali come Raúl Ruiz, il lavoro che – ironia della sorte – faceva affinché la memoria dei giorni bui del Cile non finisse nell’oblio. Strade che si intrecciano quando la coppia guarda dei vecchi filmati di manifestazioni contro Pinochet: lo scrittore e giornalista ricorda ancora gli slogan, come se le emozioni vissute collettivamente con tale profondità rimanessero più impresse. Di fronte alla dedizione di Urrutia, comunque, il film ci consegna una domanda: quanti uomini sono disposti a fare lo stesso?