Pita Limjaroenrat non sarà il nuovo premier della Thailandia. Il leader del partito che ha preso il maggior numero di voti nelle elezioni dello scorso maggio superando tutti i pronostici non ha potuto ieri nemmeno candidarsi davanti ai due rami del Parlamento riuniti per dar seguito alla “volontà popolare”.

Prima che si presentasse nel tempio della democrazia tailandese, il capo del Move Forward Party è stato infatti squalificato dalla carica di deputato dalla Corte costituzionale e ha dovuto lasciare l’aula prima del voto. Un voto che, a quel punto, ha messo in discussione la possibilità che Pita si potesse candidare col peso di una messa in mora della Corte più alta.

I parlamentari in seduta congiunta hanno dunque votato per scegliere se accettare o respingere la ricandidatura a premier per la seconda volta del leader del Move Forward, dopo una prima consultazione (persa da Pita) la settimana scorsa.

Dopo un dibattito di ore e dopo che 715 parlamentari hanno votato elettronicamente, è stato reso noto che 394 parlamentari avevano votato contro la ricandidatura e 312 a favore. Pita è stato così messo al bando dalla maggioranza (374 più uno).

IN THAILANDIA la storia si ripete e una sentenza mette fuori gioco, come era già successo al predecessore politico di Pita nelle penultime elezioni, il leader politico scelto dal partito più votato dai tailandesi. Oggi è prevista la terza sessione del voto per scegliere il premier a meno che non si decida un rinvio o un’ennesima consultazione dopo quella prevista oggi in considerazione del fatto che ieri la seconda votazione del calendario parlamentare in realtà non è avvenuta.

Dettagli istituzionali che, comunque vadano a finire indicano che la democrazia tailandese è ben lungi dall’essere il frutto maturo che tutti si aspettavano potesse diventare con l’elezione di Pita. Per altro, in un Parlamento dove 500 membri della Camera bassa vengono votati ma 250 senatori sono nominati (dalla compagine militar-monarchica), l’esercizio democratico è già un conto truccato.

La giornata di oggi promette forse una nuova candidatura: quella – si dice – di Srettha Thavisin del Pheu Thai Party, il secondo partito di opposizione che si è guadagnato nelle ultime elezioni 141 seggi, dieci in meno del partito di Pita.

IL PHEU THAI è il partito della famiglia di Thaksin Shinawatra, il tycoon che è stato estromesso da un golpe militare come è poi avvenuto anche con sua sorella Yingluck e che questa volta ritenta la scalata con Paetongtarn, sua figlia minore. Pheu Thai e Move Forward sono alleati in una coalizione di otto partiti.

La notizia della squalifica di Pita è arrivata ieri in nota ufficiale della Corte costituzionale poco dopo le 2 e mezza del pomeriggio, due ore prima del voto parlamentare. La Corte ha accolto una denuncia che lo accusa di possedere le azioni di una società – Itv – che a suo tempo deteneva una televisione che da tempo ha cessato le attività. Pita ha spiegato non solo che le azioni in suo possesso erano parte del patrimonio paterno di cui dopo la morte è esecutore testamentario, ma di aver trasferito il malloppo ad altri. Alla Corte non è bastato e adesso Pita ha due settimane di tempo per fare appello. Ma intanto è fuori dai giochi.

INOLTRE c’è un caso pendente anche per il suo partito, accusato dai conservatori di essere anti monarchico e quindi intollerabile nel regno del Siam. Esattamente come successo al partito Future Forward e al suo leader Thanathorn, entrambi vittime del tribunale. Sono stati i fondatori della nuova linea progressista tailandese ora incarnata da Pita.

Per ora la piazza si è fatta sentire poco ma la gente fuori dal Parlamento si è vista. Qualche centinaio. Potrebbe essere solo l’inizio di una protesta su larga scala. Col colore di Pita: l’arancione.