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Terremoto, servono 26.5 miliardi. Quanto spendiamo per le armi

Terremoto, servono 26.5 miliardi. Quanto spendiamo per le armiLe macerie di Amatrice; in basso lo striscione appeso lungo la Salaria – Ansa

Appennino A sette anni dal sisma degli Appennini 30mila persone ancora senza casa e comuni abbandonati. Il nuovo sviluppo riguarda il turismo, il ministero promette 30 milioni

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 agosto 2023

Sette anni dopo la scossa che distrusse gli Appennini e uccise 299 persone restano quattro parole scritte su uno striscione: «Meno armi, più ricostruzione». È appeso a un cavalcavia lungo la Salaria, all’altezza di Amatrice. Era il 24 agosto del 2016 quando tutto venne giù: Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, le frazioni. Due mesi dopo arrivarono le scosse del maceratese: zero morti ma decine di migliaia di sfollati.

ADESSO QUATTRO PAROLE sono troppe o troppo poche a seconda del proprio punto di vista: troppo poche se guardiamo alle trentamila persone ancora senza casa, ai comuni ormai abbandonati, alle macerie che non ci sono più ma che hanno lasciato spazio soltanto a buchi nel paesaggio, perché là dove c’erano case adesso non c’è più niente. Sono troppe se invece consideriamo che tutte queste cose vengono ripetute da anni, e al di là dei solenni annunci e di qualche pur utile ordinanza di semplificazione burocratica, la vita all’incrocio tra le Marche, l’Umbria, il Lazio e l’Abruzzo continua a essere stinta dall’attesa.

A voler prendere sul serio lo striscione di Amatrice, la conclusione è desolante: si stima che nel cratere del terremoto (quasi ottomila chilometri quadrati per 138 comuni) ci siano 56.000 interventi da fare per un costo totale di 26.5 miliardi di euro. Curiosamente si tratta proprio della cifra che l’osservatorio Milex attribuisce alle spese militari italiane per il 2023: 26.5 miliardi, 800 milioni di euro in più rispetto al 2022.

Per il resto, la stessa premier Giorgia Meloni ammette che la situazione non è delle più felici. «Purtroppo la ricostruzione è ancora incompiuta, è una ferita che non si è chiusa e che fa ancora male – ha detto -, oltre quattordicimila famiglie vivono tuttora lontane dalle loro case, molti territori faticano a tornare alla normalità, diversi i ritardi da colmare e le criticità che rimangono da affrontare».

E AD AMATRICE si è fatto vedere il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci: «Tenere vivo il ricordo del sisma è un dovere morale verso le centinaia di vittime, ma anche uno stimolo a capire quella lezione: prevenire e ridurre l’esposizione alla vulnerabilità del proprio territorio. È assurdo che l’Italia non abbia ancora un organico Piano nazionale per la mitigazione del rischio sismico, materia polverizzata in decine di leggi. Stiamo rimediando anche a questa lacuna ed entro poco tempo porteremo al Consiglio dei ministri un apposito ddl».

LA GIRANDOLA delle dichiarazioni è tutta così: molti cordoglio, qualche timido annuncio, la conferma che queste zone non verranno dimenticate. Ormai sembrano finite anche le parole, e i fatti ancora non parlano da soli. Anzi.

DOPO L’ APPREZZATO commissario Giovanni Legnini, dallo scorso gennaio a gestire la partita della ricostruzione è il senatore ed ex sindaco di Ascoli Guido Castelli, colomba di FdI che gode di buona reputazione nelle Marche ma che, per ora, si sta limitando a godere del lavoro del suo predecessore, che con le sue ordinanze di riordino ha fatto quantomeno partire la ricostruzione privata. Le liquidazioni degli interventi, infatti, sono cresciute del 22% nell’ultimo anno. I cantieri aperti, dall’inizio della storia, sono stati 17.442, di questi 9.453 sono stati anche completati. Il piano delle opere pubbliche vale invece 1.1 miliardi di euro e quasi tutte le opere sono in fase di progettazione.

QUELLO CHE DAL GOVERNO sventolano come grande successo, però, è «l’avanzamento puntale» del programma «Next Appennino», finanziato dal piano nazionale complementare del Pnrr per le aree dei terremoti del 2009 (L’Aquila) e del 2016. Sulle cifre non c’è alcuna chiarezza ma, assicura Meloni, il piano «sta dimostrando che è possibile mettere a terra le risorse pubbliche per stimolare investimenti privati e gettare le basi di un nuovo sviluppo».

Il nuovo sviluppo di cui si parla riguarda il turismo, nella convinzione – salda e trasversale sin dall’immediato dopo-sisma – che il futuro sia tutto qui. È in questo senso che va letta anche la recente decisione del ministero del Turismo di stanziare 30 milioni di euro per incentivare «la competitività e la sostenibilità del settore turistico» dell’Appennino.

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