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Terre indigene, l’agribusiness travolge i veti di Lula

Terre indigene, l’agribusiness travolge i veti di LulaBrasilia, attivisti indigeni manifestano davanti alla Corte suprema – Ap

Brasile Si torna indietro: «nativi» solo i luoghi già occupati al varo della Costituzione post-dittatura

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Genocidio indigeno, ultimo atto. Dominato dalla lobby dell’agribusiness, la potentissima bancada ruralista, il Congresso brasiliano ha annullato in sessione congiunta gran parte dei veti posti da Lula al progetto di legge 2903 noto appunto come «Pl del genocidio», imponendo nuovamente la tesi del marco temporal – dichiarata incostituzionale il 21 settembre dalla Corte suprema – insieme a diverse altre norme non meno aberranti. Come, per esempio, il via libera allo sfruttamento di risorse naturali e ai progetti di infrastruttura all’interno delle aree indigene.

E così, in attesa di un nuovo intervento del Supremo tribunale federale, in quella che già si annuncia come una resa dei conti finale tra il potere giudiziario e quello legislativo, entrerà in vigore la norma secondo cui i popoli indigeni avranno diritto alla demarcazione solo delle terre che occupavano alla data di promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre del 1988.

Già posticipata due volte – forse anche per evitare di sporcare l’immagine già non irreprensibile del Brasile alla Cop 28 di Dubai – la sessione congiunta di giovedì ha avuto un esito impietoso per Lula: 321 deputati contro 137 e 53 senatori contro 19 (ne bastavano rispettivamente 257 e 41), vari dei quali appartenenti a forze politiche alleate al governo, si sono espressi contro il veto presidenziale.

Un veto solo parziale – posto su 24 dei 33 articoli del progetto di legge, quelli più irricevibili – con cui Lula, ignorando le richieste dei popoli indigeni e dei loro alleati a favore di una bocciatura totale della legge, contava di mantenere un canale aperto con i latifondisti, facendo loro due concessioni importanti: quella relativa al via libera alla cooperazione tra indigeni e non indigeni per la realizzazione di attività economiche – con il conseguente rischio di incrementare l’assedio ruralista ai territori dei popoli originari – e quella mirata a conciliare l’usufrutto esclusivo del loro territorio con le politiche di difesa della sovranità nazionale.

Ma che non avesse alcuna intenzione di accontentarsi, né di trattare con il governo, la bancada ruralista, nota ufficialmente come Frente Parlamentar da Agropecuária, lo aveva messo subito in chiaro: il veto di Lula, aveva dichiarato il suo presidente Pedro Lupion, sarebbe stato ribaltato per «garantire il rispetto del diritto costituzionale alla proprietà privata», contro «l’inefficienza dello stato brasiliano rispetto a norme che garantiscano la sicurezza giuridica e la pace nei campi».

Era del resto una sfida impossibile – conciliare interessi opposti secondo il tipico marchio di fabbrica del lulismo – e il presidente l’ha persa, insieme all’occasione di fare l’unica cosa giusta: porre un veto integrale alla legge approvata dal Congresso confidando poi nell’intervento della Corte suprema, a cui spetta comunque l’ultima parola, e così dire un no semplice e chiaro a quella che il coordinatore dell’Articulação dos Povos Indígenas do Brasil, Dinaman Tuxá, ha definito come «la più feroce offensiva ai diritti dei popoli originari dalla ridemocratizzazione del paese».

«I parlamentari hanno le mani sporche di sangue indigeno», ha commentato la campagna “Marco Temporal Não!”, promettendo battaglia: «Continueremo a resistere in difesa dei popoli originari di questo paese, per la garanzia di un futuro nei campi, nelle foreste e nelle città». E una profonda amarezza è stata espressa dalla deputata indigena del Psol Célia Xakriabá, che ha definito la tesi del marco temporal una misura «anti-civiltà». «Sento dire in parlamento che i popoli indigeni sono arretrati. Ma arretrato è un Congresso che ha impiegato 165 anni per avere il primo deputato indigeno del Brasile, Juruna Xavante; 195 anni per avere la prima donna indigena, Joenia Wapichana; 200 anni per avere, con me, la prima presidente della Commissione dell’Amazzonia e dei popoli originari e tradizionali».

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