Tensione a Belgrado dopo l’irruzione nella sede della tv pubblica
Serbia 18 arresti. Poi Vucic ordina il rilascio, tranne per i due che avrebbero «minacciato dei giornalisti con una motosega»
Serbia 18 arresti. Poi Vucic ordina il rilascio, tranne per i due che avrebbero «minacciato dei giornalisti con una motosega»
Giorni di tensione in Serbia. Sabato sera a Belgrado un centinaio di manifestanti è riuscito a irrompere nella Tv pubblica, fermando i programmi televisivi e accusando il governo di imbavagliare i media. Domenica qualche migliaio di manifestanti ha protestato sotto la Presidenza. Il presidente Aleksandar Vucic si è rivolto alla stampa, ribadendo che non teme quelli che non ha esitato a definire «fascisti».
LE PROTESTE hanno ripreso anche ieri, perché l’opposizione ha annunciato che non intende fermarsi finché non saranno liberati i diciotto manifestanti arrestati sabato sera. Alle 16,00 di ieri Vucic ha ordinato il rilascio di tutti gli arrestati e ha annunciato la grazia per tutti quelli che hanno preso parte all’occupazione della Tv (tranne per i due che avrebbero «minacciato dei giornalisti con una motosega»). Le proteste in tutta la Serbia – come ovunque in questo periodo nei Balcani – vanno avanti da più mesi, ogni sabato, svolgendosi in parallelo in quasi tutte le principali città del paese.
VARIE MIGLIAIA di manifestanti sono mobilitati attorno alle piattaforme Uno di 5 milioni e a Lega per la Serbia. Le ragioni della protesta sono l’evidente disagio economico e il crescente modo autoritario e personalistico di gestire il potere da parte di Vucic. Le anime della piazza sono molte e divise fra loro, e vanno dai semplici cittadini carichi di rabbia per le difficoltà economiche, ai filo-Usa, ai nazionalisti, ai filo-Putin, fino agli abili oratori d’estrema destra che rischiano d’ imporsi come leader delle proteste. In particolare Bosko Obradovic – sotto la cui guida i manifestanti hanno occupato la Tv pubblica – è famoso per i suoi infuocati discorsi nazionalisti e omofobi nel Parlamento serbo, dove guida il partito clerico-conservatore Dveri. Inoltre, a guidare le proteste sono anche Vuk Jeremic, già ministro degli esteri, e Dragan Dijlas, ex sindaco di Belgrado, ambedue del Partito Democratico serbo (Ds), guidato in passato dall’ex presidente Boris Tadic. Vucic ha tacciato i due di essere dei tycoon, mentre ha definito Obradovic «fascista». Intanto il Blocco di sinistra, piattaforma nata ad hoc per coordinare gruppi della sinistra radicale, ha deciso dal 23 febbraio scorso di non partecipare alle proteste. Per ora non si vede la fine delle proteste, poiché Vucic sembra stare bene in sella e senza alcuna intenzione di dimettersi.
I FATTI DI SABATO, però, hanno dato un nuovo slancio alla protesta che si stava esaurendo. Vucic gode ancora della fiducia dei burocrati di Bruxelles, poiché è visto come garante della improbabile stabilità del Kosovo – il cui status resta sospeso nel vuoto e divide la comunità internazionale – nel cosiddetto cammino serbo verso l’integrazione europea. Ma anche la Russia vede in Vucic un fattore di stabilità. Mentre un’opposizione fatta di così tante anime non sembra in grado di garantire stabilità ad un eventuale «dopo Vucic». La Lega per la Serbia ha dato un ultimatum a Vucic, chiedendogli di dimettersi entro un mese. Il clima politico a Belgrado è «caldo» – si parla anche di possibili manifestazioni pro-Vucic – ma forse non ancora rovente, marzo è un mese pazzo dall’evoluzione imprevedibile. Rimane il fatto che le proteste si stanno rivelando, per Vucic, uno scoglio più grande di quanto immaginasse mesi fa, quando diceva che non si sarebbe dimesso neanche se i manifestanti fossero diventati 5 milioni.
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