Dopo un’interruzione di due anni provocata dalla pandemia, è tornata in presenza la 33esima edizione della Tehran International Book Fair, in programma nella capitale iraniana fino a sabato. Il motto della kermesse, in questo 2022, suona così: «Quando leggiamo, ci sentiamo in salute», una dichiarazione beneaugurante perlomeno lodevole, tenendo conto della lunga pausa da coronavirus, e in un momento in cui è difficile dichiararsi ottimisti.

Ma in effetti i dati riportati in un articolo uscito ieri sul Tehran Times: lasciano pensare che la fiera, la maggiore manifestazione culturale in Iran, abbia gli ingredienti giusti per festeggiare la propria rinascita. Partecipano infatti ben «170 editori di trentadue paesi, tra cui Svizzera, India, Hong Kong, Germania, Stati Uniti, Italia, Cina e Russia» (su quest’ultima presenza il Tehran Times si astiene dal fare commenti), e soprattutto la vetrina d’onore è dedicata al Qatar che, in attesa di ospitare la Coppa del mondo a fine anno, approfitta dell’occasione per far conoscere la propria produzione letteraria: «In uno stand nazionale di 160 metri quadri – recita il comunicato della Tehran Book Fair – saranno presenti più di 350 titoli di libri su vari argomenti come la letteratura classica e contemporanea del Qatar, la religione, il turismo, la storia e così via. Inoltre, agli incontri e alle presentazioni partecipano grandi case editrici qatariote come Dar Alwatad, Dar Napjah, Dar Roza, Hamad Bin Khalifa University Press e Qatar University Press». Davvero un’opportunità preziosa per approfondire la conoscenza di un paese del quale fuori – cospicue risorse economiche a parte – si sa poco.

E tuttavia, dietro questa immagine positiva di facciata, si notano delle crepe: spiega infatti il Tehran Times che, a differenza di quanto avviene in altre fiere internazionali, la manifestazione iraniana «funziona come una grande libreria, alla quale gli editori locali partecipano ogni anno per vendere i loro libri a prezzi scontati».

Ed è appunto sulla politica degli sconti che ci sono state frizioni: alcune case editrici e piattaforme iraniane per la vendita di libri online hanno boicottato la fiera, perché «sostengono che questa politica causerebbe troppi danni alle vendite di libri in altri periodi e potrebbe portare alla chiusura di librerie e siti di vendita». Protesta giustificata, secondo il viceministro della cultura Yaser Ahmadvand che ha annunciato piani a sostegno delle librerie e delle piattaforme dopo la fine della rassegna. «Una situazione interessante», la definisce A. M. Orthofer nel suo Literary Saloon – e, potremmo aggiungere noi, non circoscritta alla Tehran Book Fair.

(Ancora dal Literary Saloon, che da vent’anni è un osservatorio utilissimo per sapere cosa succede nel mondo del libro anche fuori dalle zone più battute, riportiamo una notizia proveniente invece dal centro dell’impero: The Leaving, il romanzo dell’esordiente Jumi Bello, è stato bloccato dall’editore Riverhead prima dell’uscita quando l’autrice ha ammesso che il testo è frutto di plagi. Non solo: è risultato scopiazzato e quindi ritirato dal web anche un articolo del Literary Hub in cui Bello raccontava la sua esperienza, spiegando che fra i motivi del plagio ci sono disturbi di carattere mentale e – riferisce Daniel Victor sul New York Times – «pressioni legate alla produzione di un libro d’esordio». Ed ecco il commento di Orthofer: «Non ci devono essere pressioni per ‘produrre’ un libro d’esordio. Nessuno è obbligato a scrivere un libro. Se avete qualcosa da dire, cercate di dirlo – ma va bene se non avete nulla da dire; la maggior parte delle persone non ce l’ha – almeno non che valga un libro…». Applausi).