Fariborz Kamkari: «Donna Vita Libertà ancora forte. Maysoon Majidi rischia doppio»
Il mondo libero Intervista allo scrittore e regista curdo-iraniano a due anni dalla morte di Mahsa Amini: "L’Italia potrebbe avere un grande ruolo nel dare voce alle persone che lottano per la libertà e la democrazia. Maysoon subisce anche un’apartheid culturale"
Il mondo libero Intervista allo scrittore e regista curdo-iraniano a due anni dalla morte di Mahsa Amini: "L’Italia potrebbe avere un grande ruolo nel dare voce alle persone che lottano per la libertà e la democrazia. Maysoon subisce anche un’apartheid culturale"
«Questa situazione è inaccettabile» ci dice al telefono Fariborz Kamkari, «curda, attivista e regista: Maysoon Majidi rischia di essere punita duramente». Kamkari, regista e scrittore – due anni fa La nave di Teseo ha pubblicato il suo Ritorno in Iran, mentre sul grande schermo si ricordano I fiori di Kirkuk (2010) e Kurdbûn – Essere curdo (2020) – ha tanto in comune con Maysoon Majidi: entrambi curdi iraniani, entrambi artisti, entrambi hanno cercato rifugio in Italia.
Kamkari l’ha trovato, e da anni continua a creare nel nostro Paese, mentre Majidi, attivista del movimento «Donna Vita Libertà», è fuggita dal regime iraniano per essere poi detenuta in Calabria, dove si trova dall’inizio dell’anno con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Cosa ha pensato quando è venuto a conoscenza della condizione di Majidi?
Pur non conoscendo la vicenda giudiziaria nei dettagli posso dire che queste accuse vengono attribuite molto facilmente, basta dare una mano a qualcuno durante il viaggio e si finisce accusati di favoreggiamento. Il fatto che Maysoon sia una donna curda è un punto molto importante, sappiamo che il movimento «Donna Vita Libertà» parte proprio dal Kurdistan, non è stata una rivolta di tutto l’Iran ma della periferia, che si è poi espansa verso il centro, tanto che lo slogan proviene proprio dal movimento curdo. Ora c’è il rischio che il governo chieda l’estradizione nei confronti di Maysoon e questo sarebbe gravissimo, perché la rivoluzione «Donna vita libertà», anche se in Occidente non viene più raccontata come l’anno scorso, è ancora molto viva in Iran. Tutti gli elementi che l’hanno scatenata sono ancora lì e in Kurdistan ci sono ancora tante manifestazioni contro il regime, che sta facendo di tutto per bloccare il movimento in quei luoghi, che ispirano le persone che cercano la libertà e lottano per la democrazia, non solo in Iran ma in tutto il Medio Oriente.
Maysoon in quanto artista fuggiva poi da un regime dove creare fuori dalla censura è impossibile.
Già essere una donna in Iran è una condanna, fare cinema poi implica altri rischi perché c’è un’apartheid culturale sul popolo curdo in Iran come in Turchia. Maysoon si trova quindi in una condizione doppiamente pericolosa. Io sono stato condannato tre volte in Iran solamente per il fatto di fare film. Il regime negli ultimi quarant’anni ha cercato di silenziare qualsiasi voce potesse diventare un riferimento, ha eliminato tutti i partiti per rivolgersi poi alle figure pubbliche, agli artisti, a chiunque potesse unire il popolo. Fare i film in maniera indipendente dal regime è impossibile, bisogna passare per numerose commissioni che fanno da filtro, e anche chi è riuscito a superarle veniva poi considerato una minaccia. La bellezza del movimento «Donna Vita Libertà» è che parte dal basso, non c’è un’élite che guida il popolo, quest’ultimo ha maturato da solo la consapevolezza e per questo, non avendo riferimenti precisi, il regime ha difficoltà a reprimerlo. I registi fanno parte di questo movimento culturale, che arriva dopo decenni in cui si è cercato di separare le diverse religioni, le lingue, le classi sociali. Ora finalmente è chiaro che la libertà si ottiene quando siamo uniti. Gli artisti cercano di contribuire con la loro voce nonostante le difficoltà, la tecnologia sicuramente ha aiutato molto.
In che modo?
Poter fare un film col telefonino, senza bisogno di tecnici o di andare in un laboratorio per sviluppare le pellicole, ha cambiato tutto. Il regime usava il laboratorio come se fosse un’area militare. Ora vediamo tanti giovani in Kurdistan che finalmente fanno cinema, dopo tanti anni di silenzio perché i curdi non devono avere una voce, il caso di Maysoon testimonia che tutto questo sta cambiando.
Qual è attualmente la situazione del movimento?
La destra nazionalista che c’è ora in Iran è agli antipodi rispetto agli ideali «Donna Vita Libertà». Come nel ’79, si cerca di cavalcare una rivoluzione per farla diventare qualcosa di molto diverso, e questo movimento progressista non può essere guidato da un reazionario come Reza Ciro Pahlavi, principe ereditario che vuole tornare indietro di 50 anni per restaurare la monarchia. Così il regime ha disinnescato la rivoluzione, sapendo che chi scende in strada nelle periferie rischia la vita, mentre il centro è sempre stato complice: non ci sono state grandi manifestazioni a Kerman o a Shiraz, dove si concentra il potere. Teheran fa scuola a sé essendo una città grandissima dove tutti si ritrovano.
Servirebbero maggiori tutele per chi arriva in Italia da contesti così pericolosi?
Il Medio Oriente ha un’immagine positiva dell’Italia, che è riconosciuta per l’aspetto culturale e gioca a suo favore non aver avuto una storia colonialista in quella parte del mondo. L’Italia quindi potrebbe avere un grande ruolo nel dare voce a queste persone che lottano per la libertà e la democrazia. Io sono qui grazie alla possibilità che mi è stata data di proseguire la mia lotta, di poter fare i miei film e raccontare la mia storia, penso sia importante per rompere il muro di censura che c’è intorno al mio popolo.
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