Maandamano, protesta continua da parte dell’opposizione in Kenya. Raila Odinga, leader della coalizione uscita perdente alle elezioni del 2022, ha proclamato tre giorni di sciopero che hanno avuto effetti pesanti sulla popolazione nelle aree urbane, con scontri violenti con la polizia che ha sparato proiettili di gomma e lacrimogeni ferendo diversi manifestanti.

LA PROTESTA È ORGANIZZATA contro l’aumento delle tasse varato dal governo del presidente William Ruto, misura che incide ulteriormente sulla crescita del costo della vita in un Paese dove l’inflazione è all’8%, ma ben sopra il 12% sui beni di prima necessità. «La gente non ha da mangiare – racconta al teleono un anziano del villaggio di Rongai – e la scuola costa più del doppio, i trasporti sono triplicati, quindi la gente è scesa in strada.

La scuola pubblica è diventata come una scuola privata, ogni giorno bisogna portare soldi, non so dove possiamo andare. Dalle elezioni (agosto 2022) nessuna cosa va bene. Le proteste vanno avanti da mesi. Prima era una volta alla settimana adesso tre giorni di protesta ogni settimana. Significa che per tre giorni non si lavora, quindi non si mangia. Poi a scuola ogni volta bisogna portare 400/500 scellini (4/5 euro) oppure farina, mais, olio, altrimenti non ti fanno entrare, i bambini rimangono a casa poi vanno qualche giorno, poi di nuovo a casa. I genitori sono usciti sulla strada, se non ci fossero le ong nessuno andrebbe più a scuola, tanti sono rimasti esclusi, ma poi se a casa non mangiano non possono andare a scuola».

Il governo sostiene che le tasse sul carburante e sulle abitazioni, che dovrebbero raccogliere 200 miliardi di scellini (1,4 miliardi di dollari) in più all’anno, servono a far fronte ai crescenti rimborsi del debito e per finanziare iniziative per la creazione di posti di lavoro. Scuole, negozi e aziende hanno chiuso i battenti nelle principali città del Paese. Da quando sono iniziate le proteste (marzo) le persone uccise dalla polizia sarebbero 30, secondo Amnesty International, 30, centinaia i feriti e gli arrestati e danni per milioni di euro.

SECONDO CHARLES OMONDI, uno dei manifestanti intervistato da Ntv Kenya, «non c’è bisogno di Ruto, tutto qui. Ci ha già dimostrato di essere un uomo che non è pronto ad ascoltare la gente». Ruto la settimana scorsa aveva dichiarato che «le elezioni si sono concluse il 9 agosto dello scorso anno. Non si può cercare la leadership di questo Paese usando il sangue dei cittadini, la morte dei cittadini e la distruzione delle proprietà». E su questo è ritornato Odinga sostenendo che «la voce della gente deve essere ascoltata. La nostra protesta pacifica continua». Parole a cui ha risposto il ministro degli Esteri Alfred Mutua, affermando che le proteste sono state istigate politicamente e sono state tutt’altro che pacifiche. «Ciò a cui abbiamo assistito sono azioni violente con scagnozzi che distruggono le nostre infrastrutture». Jeremy Laurence dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni unite (Ohchr), si è detto «molto preoccupato per l’uso sproporzionato della forza, compreso l’uso di armi da fuoco, da parte della polizia».

CHIESE E GRUPPI PER I DIRITTI civili hanno chiesto al presidente Ruto e all’oppositore Odinga di risolvere le divergenze attraverso il dialogo e hanno invitato a sospendere le proteste. Giovedì i giornali keniani hanno pubblicato un editoriale congiunto dal titolo: «Salviamo il nostro Paese» in cui scrivono che «il presidente William Ruto e il leader dell’opposizione Raila Odinga, in particolare, devono a sé stessi e al popolo del Kenya di considerare se vogliono più sangue sulle loro mani. Il Paese si trova sull’orlo del precipizio (…) Odinga e Ruto devono riconoscere che il benessere, la pace e la sicurezza dei cittadini sono molto più importanti di loro». Intanto, il maandamano continua.