Una mozione all’assemblea capitolina per chiedere al sindaco di Roma di «interloquire con la struttura privata Quisisana per una toponomastica condivisa» di Antonio Gramsci.
Dopo l’appello lanciato dal manifesto insieme a studiosi e intellettuali per ricordare il luogo in cui Gramsci passò gli ultimi venti mesi di vita e morì, qualcosa inizia a muoversi.

Le duemila firme raccolte in calce all’appello di cui il primo firmatario è Fabio Fabbri, già docente di storia a Salerno, alla Sapienza e a Roma Tre, sono figlie di adesioni eccellenti e grande condivisione di popolo.

Oltre a Piero Bevilacqua, Giacomo Marramao, Donald Sassoon, Luciano Canfora, Fabrizio Barca, Luigi Ferrajoli che avevano firmato subito, sono arrivati i parlamentari Pd Cecilia D’Elia, Walter Verini e Francesco Verducci, i giornalisti Gad Lerner e Silvia Truzzi (che stanno portando in giro per l’Italia uno spettacolo su Gramsci), Fulvia Bandoli, Antonio Gibelli, il partigiano Gastone Malaguti, l’ex segretario del Nidil Cgil Claudio Treves. E tantissime persone comuni che chiedono di ricordare l’intellettuale antifascista.

Ben 2 mila firme in pochi giorni che hanno portato la presidente della commissione Cultura e Lavoro e consigliera comunale del Pd di Roma Erica Battaglia a firmare la mozione (protocollata da altre quattro firme di colleghi) con il via libera dello stesso Roberto Gualtieri e dell’assessore alla Cultura Miguel Gotor.

«È necessario custodire le occasioni di memoria collettiva, contrastare la tendenza a emarginare quando non a cancellare le culture e le origini antifasciste della Repubblica», si legge nella mozione.

Ora resta da convincere la clinica Quisisana. La struttura si è trincerata dietro la scusa della privacy e del fatto che «la cittadinanza non potrebbe avere libero accesso alla struttura e pertinenze». Ma le ragioni politiche – la proprietà della famiglia Ciarrapico è notoriamente destrorsa – sembrano prevalere.