Internazionale

Tanzania, solidarietà dal basso nel pantano della burocrazia

Tanzania, solidarietà dal basso nel pantano della burocrazia – Deborah Mirabelli

Dal mittente al destinatario Sdoganare un container di aiuti umanitari costa 10mila euro. Molto più facile esportare carichi «maggiorati» di oro e rame

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 28 giugno 2017
Claudio DionesalviDAR ES SALAAM

Il poster di Papa Francesco campeggia nella sede tanzaniana della Caritas. Chissà se Bergoglio sa che sdoganare un container di aiuti umanitari dal porto di Dar es Salaam, pur transitando da questi uffici, costa quasi 10mila euro. Tanto ha dovuto scucire La Terra di Piero, associazione cosentina impegnata nella solidarietà senza confini né barriere, per consegnare alimenti, medicinali, materiali didattici e giochi ai bambini malati di Aids, disabili e ospiti degli orfanotrofi. 14 tonnellate di aiuti raccolti dal basso, recapitati a domicilio da una decina di volontari determinati ad aggirare il pantano burocratico che si frappone tra mittenti e destinatari delle missioni umanitarie.

GRATTACIELI E BARACCHE di fango, fogne a cielo aperto e stradoni asfaltati, slum e centri direzionali, minigonne e burka. La metropoli non si smentisce. Dar es Salaam è l’agglomerato meno tipico della Tanzania, eppure ne riassume complessità e contraddizioni. Distante dalla turbolenta Zanzibar, concentra su di sé il melting di culture assestatosi in un apparente equilibrio perfetto, all’esito della centrifuga colonialista.

La vocazione modernista adagiata sul sostrato tradizionale riecheggia nei ritmi forsennati della musica mchiriku, che capita di ascoltare per strada. Rap, raggamuffin e techno s’incontrano in salsa ngoma.

IL QUADRO ODIERNO appare distante dal Paese edificato più di mezzo secolo fa da Julius Nyerere. L’Ujamaa, la famiglia allargata, antico fondamento del contratto sociale nei villaggi, riadattato a proprietà agricola collettiva in chiave socialista nel ‘900, è stato di fatto espiantato dalle violente spallate del neoliberismo dagli ultimi decenni del secolo scorso.
Qui come in Europa, l’effetto domino si abbatte sulle categorie discriminate. I gay su tutti. Come i neri albini, subiscono pregiudizi e rappresaglie. Messi peggio di loro, solo i rifugiati. Relegati nei campi profughi del nordovest, per effetto dell’encampment policy, vegetano 310mila profughi, 65mila dei quali provenienti dalla Repubblica democratica del Congo, e tutti gli altri dal Burundi.

In generale, la situazione sanitaria si conferma molto critica. L’Hiv si attesta intorno all’8%. Pare abbia registrato un calo nel decennio scorso, per risalire di recente. Intanto, ad attrarre gli interessi multinazionali continuano ad essere le risorse naturali del Paese, ricchissimo nel sottosuolo, lussureggiante nel paesaggio che affiora dalla stagione delle piogge.

Secondo un recente rapporto investigativo redatto dai locali organi inquirenti, la società Acacia Mining, concessionaria delle attività estrattive nelle miniere di oro e rame in Tanzania e altri stati africani, avrebbe omesso di dichiarare la presenza di materiali come zolfo, ferro, iridio, titanio e zinco nei container esportati. E nella distinta sarebbe stato riportato solo un quantitativo di oro pari a 1,1 tonnellate, a fronte delle 11 effettive estratte e trasportate. Principale azionista dell’industria mineraria è la Barrick Gold. Acacia respinge le accuse, ma il presidente John Magufuli non ha esitato a dimissionare il ministro delle attività minerarie Muhongo per gli omessi controlli. Magufuli è il classico uomo forte, impegnato da tempo in un’aspra campagna anticorruzione. Oltre 10 mila dipendenti pubblici titolari di falsi diplomi e titoli di studio sono stati licenziati nell’aprile scorso.

 

28 est 2 volontari La Terra di Piero scaricano container in Tanzania - foto Deborah Mirabelli
I volontari de La Terra di Piero scaricano container di aiuti umanitari in Tanzania (foto Deborah Mirabelli)

 

ALL’INTERNO di questo contesto viaggia la missione autogestita de La Terra di Piero. L’itinerario degli aiuti umanitari prevede consegne a Dar es Salaam, Morogoro, Iringa, Dodoma e Migoli. In molte di queste località la carovana incontra anche italiani impegnati in progetti di cooperazione internazionale, che testimoniano quanta concretezza risieda nell’opera di tanto associazionismo a vari livelli. Sono esperienze ad alto impatto sociale, come quella del dottor Luigi Lo Pinto che nella metropoli, per conto della fondazione italiana WeWorld, si occupa di sostegno e recupero, mediante l’arte-terapia, di ex prostitute e donne abusate e violentate. Dal canto suo, nella ridente Iringa la ong Call Africa gestisce Sambamba, struttura per la riabilitazione su base comunitaria delle persone disabili. A capo c’è un’italiana immigrata quaggiù, Alessia La Rosa. I terapisti specializzati che curano bambini con problemi neurofisiologici, sono coadiuvati da personale locale, appositamente formato.

A MOROGORO, gli attivisti de La Terra di Piero sono accolti da padre Riccardo Riccioni, un francescano che ha fondato la scuola secondaria Alfa, frequentata da migliaia di studenti. Il missionario precisa subito che non accetta alcuna forma di aiuto, né in denaro né in beni di consumo. Ma di fronte all’offerta di due incubatrici donate dall’ospedale di Perugia, sorride e mette in funzione le preziose strumentazioni nel suo dispensario, dove numerose sono le donne che danno alla luce bambini destinati a morire in poco tempo per mancanza di cure.

La consegna all’orfanotrofio di Morogoro del forno a legna donato dalla famiglia di Valeria Greco, giovane volontaria deceduta in un incidente stradale, un parco giochi alla clinica per bambini malati di Aids di Dodoma, i medicinali all’ospedale della zona desertica di Migoli, le suppellettili per dotare un’aula nella nascente scuola di Iringa e i contatti per avviare progetti di cooperazione e scambio: sono queste le ultime tappe del cammino.

LA CAROVANA SI SCIOGLIE. Negli occhi rimangono prepotenti i colori dei kanga, indumenti tradizionali indossati dalle donne che ogni giorno, trasportando bambini, acqua e mais, si caricano sulle spalle un intero paese. Nelle orecchie la parola karibu. Appena incontrano un forestiero, in Tanzania tutti pronunciano questo messaggio di benvenuto. È una ritualità, un segno convenzionale, ormai in totale disuso a nord del Mediterraneo.

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