Grandi manovre sul fronte della carne artificiale o carne sintetica, o in-vitro, quella prodotta dalla proliferazione di cellule staminali nutrite in bioreattori da proteine sintetiche con vari metodi brevettati anche con Ogm, senza uccisione di animali né consumo di territorio.

NELLE ULTIME DUE settimane, mentre negli Usa l’agenzia per il cibo e i farmaci (Fda) dava il semaforo verde ai filamenti di pollo di Upside Food (start-up californiana fondata nel 2015 con il nome di Memphis Meats e finanziata anche da Richard Branson, Bill Gates e Kimbal Musk, fratello ristoratore del più noto Elon), in Olanda, Mosa Meat, la prima azienda a far assaggiare pubblicamente una polpetta sintetica nel 2013, inaugurava a Maastricht un impianto per passare dal laboratorio alla produzione su scala industriale, pur non avendo ancora in tasca l’autorizzazione di Bruxelles a commercializzare i suoi hamburger succedanei.

IN ITALIA LA REAZIONE a questi segnali è stata di totale opposizione, a difesa dell’agri-business nazionale. Rispondendo ad un’interrogazione parlamentare, il ministro delle Politiche Agricole Francesco Lollobrigida ha espresso contrarietà al cibo sintetico definendolo «pericolo gravissimo» e schierandosi a favore del nostro cibo «naturale» (l’export italiano vale 60 miliardi di €), mentre Coldiretti ha avviato una raccolta di firme contro latte e carne «senza mucche» per mandare un segnale alla Unione europe che nel 2023 si dovrà pronunciare sui cosiddetti nuovi alimenti.

A PERORARE LA CAUSA DEL CIBO SINTETICO quale miglior alleato del clima, il gotha mondiale della carne artificiale si è dato appuntamento a Sharm El Sheik alla Cop 27, la conferenza Onu sui cambiamenti climatici. La delegazione era capeggiata da The Good Food Institute, lobbista di Washington con basi in Europa, Asia, Brasile, India e Israele, impegnato nella richiesta di fondi pubblici per la ricerca e di autorizzazioni alla vendita. Nel padiglione Food System della Cop 27 c’erano Mosa Meat, l’azienda Turtle Tree, sponsor dello stand di Singapore (unico stato al mondo ad aver autorizzato la vendita di carne artificiale) e «drink partner ufficiale» dell’evento con una bevanda che sull’etichetta promette «immunità, benessere intestinale ed energia» grazie alla fermentazione di precisione, altro metodo biotecnologico per ottenere «proteine e grassi non derivati da prodotti animali che sono biologicamente identici a quelli animali».

LA FERMENTAZIONE di precisione è stata propagandata alla Cop 27 anche dalla campagna ReBoot Food dell’organizzazione RePlanet, con testimonial George Monbiot, giornalista del Guardian, scrittore e attivista ambientalista. Utilizzando un’area inferiore alla grande Londra, secondo ReBoot Food, sarebbe possibile produrre abbastanza proteine per il mondo intero grazie all’uso di microorganismi geneticamente modificati e così liberare quel 28% di terre coltivate oggi solo per sostenere l’industria dell’allevamento degli animali.

L’OSSESSIONE PER LE PROTEINE o, se vogliamo, per la transizione proteica, insorge ciclicamente, presentata quale panacea per i problemi di nutrizione (siamo 8 miliardi alla tavola del pianeta, ma 1 miliardo non mangia a sufficienza) e per affrontare la crisi climatica, visto che dalla produzione di carne tradizionale proviene almeno il 14,5% delle emissioni di gas serra (dati Fao), il 40% delle quali in forma di metano prodotto dalla fermentazione enterica dei ruminanti.

TUTTAVIA, QUESTO BISOGNO DI PROTEINE non sembra poi così impellente. L’autorevole IPES-Food, gruppo internazionale di esperti sul cibo sostenibile, nel suo studio Politics of Proteins (2022) sostiene che «non esiste un gap proteico: le proteine sono solo uno dei nutrienti che mancano nella dieta di chi soffre di fame e malnutrizione come conseguenza della povertà e della difficoltà di accesso al cibo», e non certo dell’indisponibilità. Eppure, «l’ossessione per le proteine oggi sta plasmando l’agenda politica e definendo gli indicatori per la ricerca scientifica, la copertura mediatica e il dibattito pubblico, mentre i sistemi agricoli vengono valutati principalmente (o esclusivamente) in termini di produzione di proteine per unità di gas serra».

SECONDO FRANCESCA GRAZIOLI, ricercatrice al centro Bioversity International, autrice di Capitalismo carnivoro, appena uscito da Il Saggiatore, «la carne sintetica è una tecnologia che potrebbe risolvere alcuni problemi, ma il punto è: chi detiene questa tecnologia? Sarà condivisa, diffusa, aperta e accessibile come lo è oggi quella della birra artigianale, o sarà appannaggio delle multinazionali? Certo è che, di fronte alla necessità assoluta di cambiare il sistema con cui viene prodotta la carne, è una risposta parziale che crea semmai nuovi bisogni legati al consumo, ma non risponde alle necessità di redistribuzione o revisione del sistema degli incentivi».

CHE LA CARNE ARTIFICIALE POSSA essere, più che il cibo del futuro, «l’affare del futuro» lo sostiene anche la presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini, sollevando più di un dubbio sul suo impatto ambientale per via dei grandi consumi energetici dei bioreattori e sull’ampio utilizzo di coloranti, aromatizzanti e addensanti che ne fanno un cibo iper-processato.

UNA TECNO-SOLUZIONE, sottolinea IPES-Food, «vincolata dal modello di business di un settore agro-alimentare altamente concentrato, che si basa sistematicamente su pratiche abusive e genera costi nascosti o esternalità».