Dopo l’anteprima di martedì, il copione si ripete. Ma triplicato. Ieri l’esercito taiwanese ha sparato colpi in aria per disperdere tre droni. Ancora una volta i tre velivoli non armati si stavano muovendo sul piccolo arcipelago di Kinmen, amministrato da Taipei ma di fronte al Fujian cinese. I tre droni civili sono stati segnalati in prossimità dei due isolotti di Dadan e Caoyu e di Lieyu, la più piccola delle due isole abitate di Kinmen e una sorta di “avamposto dell’avamposto” ai tempi delle crisi sullo Stretto d’epoca maoista. Dopo che i soldati taiwanesi hanno esploso i colpi di avvertimento i tre droni si sono allontanati in direzione di Xiamen.

«NON HANNO LOGO, non è possibile identificare né i droni né le loro intenzioni. Quello che si sa è che non portano armi», dice al manifesto un funzionario di Taipei sotto richiesta di anonimato. Prima di martedì c’erano già state 23 incursioni a Kinmen in meno di un mese, dopo la visita di Nancy Pelosi. «All’inizio l’esercito ha mantenuto un atteggiamento molto prudente, considerando anche che i droni non sono armati, per evitare qualsiasi rischio di incidente. Ma il pattern è diventato troppo regolare per non adottare contromisure più serie», spiega il funzionario, che aggiunge: «Se Pechino ufficializzasse che si tratta di sue operazioni si sarebbe ancora più attenti nell’evitare escalation».
Un’ambiguità sulla quale l’altra sponda dello Stretto sembra voglia giocare, in accordo con la strategia d’estensione dell’area grigia. Obiettivo: degradare i sistemi di difesa e disturbarne il contingente militare, esercitando pressione psicologica sull’opinione pubblica. E, ovviamente, presentare un rebus sui protocolli di risposta. Un conto sarebbe abbattere un drone civile e un altro abbatterne uno militare. Anche se in entrambi i casi si rischierebbe di infiammare la parte più nazionalista dell’opinione pubblica della Repubblica Popolare. Tanto che c’è chi teme l’azione di un “cane sciolto” civile volta a stimolare un incidente.

UNO NUOVO STUDIO di Erik Lin-Greenberg del Massachussets Institute of Technology evidenzia però che l’uso di droni invece di altri mezzi aerei potrebbe anche frenare possibili escalation. Proprio ieri, nessuna nave o aereo militare cinese ha oltrepassato la “linea mediana”, dopo che i passaggi oltre il “confine” non ufficiale sullo Stretto erano quotidiani.
Il volume resta però alto: «Se aerei e navi si avvicineranno oltre le 12 miglia nautiche dalla costa, eserciteremo il diritto all’autodifesa e al contrattacco», ha detto Lin Wen-Huang, vice capo dello Stato maggiore di Taiwan. Per ora i mezzi cinesi non sono andati oltre le 24 miglia nautiche e la dichiarazione va contestualizzata: arriva nel primo briefing post Pelosi con la stampa internazionale. Sette navi cinesi addette al trasporto di truppe si stanno intanto spostando dal mar Giallo verso sud. «C’è l’alta possibilità di nuovi test al largo del Fujian o del Guangdong» dice Kuo Yu-jen dell’Institute for National Policy Research. «Più difficile che nell’immediato Taiwan venga di nuovo accerchiata. Non penso sia la priorità per Pechino in questo momento».

GIÀ, PERCHÉ mancano solo 45 giorni al XX Congresso in cui Xi dovrebbe ricevere il terzo mandato e potrebbe anche mantenere tutte le cariche. Secondo le ultime indiscrezioni giunte a Taipei, potrebbe aprirsi uno spiraglio per la permanenza nel Politburo di Li Keqiang, che da premier potrebbe passare alla presidenza del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del Popolo al posto di Li Zhanshu. Wang Yang e Hu Chunhua papabili premier, col primo che sarebbe al momento favorito.