Visioni

Swinging 60s, ovvero: quando l’Inghilterra smise di essere un’isola

Swinging 60s, ovvero: quando l’Inghilterra smise di essere un’isolaCarnaby Street, Londra, 1968 – foto wikipedia

Libri Un volume curato da Franco Dassisti e Michelangelo Iossa ripercorre la genesi degli anni sessanta nella terra d'Albione

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 11 giugno 2024

Durante una lezione alla Walthamstow School of Art, William Green insegna a un suo studente come dar fuoco a un quadro cospargendolo di bitume. Il fumo e la puzza fanno accorrere il preside: con aplomb tutto britannico, costui raccomanda al docente di mantenere le fiamme «sotto il metro e ottanta di altezza». Lo spirito degli anni Sessanta londinesi è tutto in questo episodio riportato tra le pagine di Swinging 60s (Hoepli), curato da Franco Dassisti e Michelangelo Iossa con contributi di Tiziana Cipelletti, Michela Gattermayer e del compianto Matteo Guarnaccia.

IL LIBRO mette a fuoco ciò che nella narrazione comune è spesso fuori campo, come appunto le Art School che, nell’Inghilterra classista del secondo dopoguerra, vengono paternalisticamente rimodulate per accogliere i figli della working class predestinati alla fabbrica, salvo poi rivelarsi ambienti indispensabili per la formazione di quella mentalità aperta e sperimentale su cui si fonda la Swinging London. Un humus di cui gli autori hanno il merito di ricostruire storicamente il retroterra: se l’aletta anteriore del libro celebra come data di nascita dei Sixties il 5 ottobre 1962 — giorno dell’uscita di Love Me Do e del primo James Bond — i capitoli iniziali tracciano un continuum tra i proclami di Churchill («sangue, sacrifici, lacrime e sudore»), la resistenza al nazismo, le Olimpiadi «povere ma belle» del 1948 e l’avvento della nuova epoca elisabettiana.

È QUESTO il terreno fecondato dalle influenze musicali d’Oltreoceano, che dal porto di Liverpool investono l’intera nazione scrivendo la colonna sonora di un mondo in cui le scene musicali si intersecano con quelle cinematografiche, stilistiche, culturali. L’impazienza per il futuro è più forte della nostalgia e Londra assurge a capitale (contro)culturale di un nuovo impero pronto a esportare dischi e minigonne, cinema e arte d’avanguardia, riviste, underground, psichedelia e flower power.
Il caleidoscopio lisergico della Summer of Love ci è ben noto ma, puntando ancora una volta l’obiettivo fuori campo, è proprio nella dissolvenza del vecchio impero che si scorge il panorama sociologico di un’Inghilterra che, ripopolata dall’ondata di giovani provenienti dalle ex colonie e aperta al resto del mondo, smette di essere un’isola. Rileggerne la storia in tempo di Brexit fa struggere di nostalgia anche chi non ha vissuto quei favolosi Swinging 60s.

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