Valeria Taurino è direttrice generale di Sos Mediterranée, che gestisce la Ocean Viking. Ieri l’Ong era contemporaneamente in mare a salvare vite umane, dopo il drammatico soccorso di mercoledì con 25 superstiti e 60 dispersi prima dell’arrivo della nave, e in tribunale a Brindisi per opporsi a un precedente fermo amministrativo disposto sulla base del decreto Piantedosi con l’accusa di non aver obbedito ai libici.

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Siete stati testimoni di una tragedia enorme. Cos’è successo?

Mentre stavamo andando verso la zona di ricerca e soccorso, mercoledì abbiamo avvistato col binocolo un gommone quasi sgonfio. Abbiamo fatto partire immediatamente l’operazione di soccorso. C’erano 25 persone: due prive di sensi, le altre in condizioni critiche. Le abbiamo portate a bordo e intanto abbiamo attivato il piano di gestione infortuni di massa. La nave diventa una specie di sala di ospedale. I due naufraghi incoscienti sono stati evacuati d’urgenza a Lampedusa con l’elisoccorso della guardia costiera. Per molti altri abbiamo usato respiratori e flebo. Ancora adesso alcune persone sono attaccate ai respiratori.

Valeria Taurino, direttrice Sos Mediterranée

E in queste condizioni andate al porto di Ancona che dista 1.400 chilometri?

È grave che ci diano un porto così lontano. Abbiamo chiesto una riassegnazione più vicina ma al momento non ci sono riscontri. È grave perché è una scelta politica che da un anno a questa parte, sistematicamente, punta a tenere le navi Ong lontane dall’area delle operazioni. Ci considerano testimoni scomodi, peccato che quando questi testimoni scomodi non ci sono avvengono i naufragi.

I sopravvissuti cosa vi hanno raccontato?

Che erano partiti da Zawyia almeno sette giorni prima. In 85. Quindi mancano all’appello 60 persone. Le vittime sono morte di sete, disidratazione, ustioni.

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Siete nel Mediterraneo centrale da tanti anni. Ritenete possibile che nessuno abbia visto quel gommone alla deriva per giorni?

Abbiamo ricostruito che il caso era stato segnalato alle autorità il 9 marzo da Alarm Phone. Il punto è che nessuno lo ha preso in carico e questo implica una responsabilità. Succede anche perché i mezzi di soccorso civili vengono messi in fuorigioco, con i fermi amministrativi o i porti lontani.

C’è il mistero di un messaggio Inmarsat lanciato dalle autorità italiane «per conto» di quelle libiche. Parla di 75 persone alla deriva da una settimana. Sembrano informazioni coincidenti con il caso, ma è partito dopo il vostro soccorso. Che idea vi siete fatti?

Non lo sappiamo. Anche perché i naufraghi prima ci hanno parlato di un centinaio di persone sul gommone, poi 75, poi 85. Sono ricostruzioni complicate. È difficile capire come sono andate precisamente le cose e se si tratti dello stesso caso, probabilmente non lo è. Quello che sicuramente possiamo dire noi è che al momento ci sono almeno 60 persone disperse.

I soccorsi che avete fatto dopo sono stati coordinati?

Sì, ne abbiamo fatti due: da 113 e 88 persone. Entrambi coordinati dalla guardia costiera italiana.

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Temete un nuovo fermo amministrativo?

In teoria no, ma nelle ultime tre missioni ci hanno fermato ogni volta. Anche se noi agiamo in maniera molto attenta rispetto al coordinamento con le autorità competenti, comprese quelle libiche con cui è estremamente difficile.

A proposito dell’ultimo fermo, mentre ieri eravate operativi in mare vi trovavate anche nel tribunale di Brindisi per difendervi. Un giorno la guardia costiera vi coordina, un altro vi blocca la nave. Come è possibile?

È una scelta politica. C’è un accordo delle autorità italiane con quelle libiche. Guardia costiera e Viminale hanno deciso di dare credito al loro partner istituzionale, nonostante questo compia sistematicamente violazioni dei più basilari diritti umani sul proprio territorio. Che a livello internazionale è unanimemente riconosciuto come non sicuro. Infatti le motovedette libiche non fanno soccorsi, ma intercettazioni. Che sono illegali secondo il diritto internazionale. Lo sa l’Italia, lo sa l’Ue, eppure continua a succedere alla luce del sole.