Superbowl, vetrina imperdibile per la politica
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Superbowl, vetrina imperdibile per la politica

Sport Cresce negli Stati uniti l’attesa per lo show del 7 febbraio, nell'anno dell'elezione del nuovo inquilino alla Casa Bianca
Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 26 gennaio 2016

Il più anziano quarterback di sempre nel football a giocarsi una finale, per un posto privilegiato tra le leggende dell’ovale. Il 7 febbraio Peyton Manning con i suoi Denver Broncos prova a sollevare il secondo Vince Lombardi Trophy in carriera, a 39 anni. Dopo una stagione di alti e bassi, con la critica attaccata alle sue caviglie e la finale dell’American Football Conference vinta all’ultima palla lanciata contro i favoriti e campioni in carica New England Patriots e Tom Brady, come Manning stella decennale della Nfl. Dall’altro lato, i Carolina Panthers e Cam Newton, il nuovo che avanza, fisicità, classe, capacità di lanciare e correre verso la meta, con due marce in più degli avversari.

Una star che ha abbattuto gli Arizona Cardinals nella finale della National Football Conference e che addirittura ha al suo angolo Michael Jordan, personalissimo consigliere verso la vittoria. Gli ingredienti per lo show non mancano per il 50esimo Superbowl, con calcio d’inizio al Levi Stadium di Santa Clara (San Francisco), in California. E scalda i motori, o meglio il registratore di cassa la Nfl, che conta di ricordare all’America i motivi per cui il football resta il primo sport nazionale, dimenticando per una sera le polemiche per i casi di encefalopatie traumatiche croniche (la Lega non sborserebbe un dollaro su una ricerca da 16 mln destinati a ricercatori e università per diagnosticarla quando i malati sono in vita) su atleti ed ex atleti, rese ancora più incandescenti dal film Concussion con Willy Smith.

C’è lo show, ci sono le star, c’è la sexy Rihanna assieme ai Coldplay, sul palco montato a tempo di record nell’intervallo che in passato ha ospitato Springsteen, Madonna, i Rolling Stones. Insomma, l’America si ferma, perché il Superbowl è un pezzo di cultura pop a stelle e strisce, un trend topic non solo sui social network che come al solito faranno segnare il record di contatti, commenti, like e retweet. Sul divano con birra e pop corn anche chi non ama il football, perché il Superbowl è l’Evento, se ne parla e scrive ovunque, un Quo Vado moltiplicato per mille.

Lo sanno anche gli sponsor, con multinazionali ma anche aziende meno ricche, che mettono assieme cinque milioni di dollari per un frammento di tempo, durante le pause di gioco in campo, trenta secondi per presentare i loro prodotti, non di più. Ma anche gli spettatori del Superbowl devono separarsi da tanti pezzi in verde, i biglietti costano in media circa quattromila dollari, mentre sul mercato secondario sono disponibili solo a seimila dollari e costano tanto anche i voli e gli hotel, con camere anche da mille dollari a notte e oltre 300 dollari per chi si accontenta di un albergo a tre stelle.
E al Superbowl è legata anche la politica americana, una vetrina imperdibile nell’anno dell’elezione del nuovo inquilino alla Casa Bianca. Anche perché poco dopo il Superbowl arrivano le primarie repubblicane in New Hampshire (il 9 febbraio) e in North Carolina (il 20 febbraio). Per esempio, il comitato politico Right to Rise, che ha raccolto circa 100 milioni di dollari per la campagna per le primarie GOP di Jeb Bush – che gli ultimi sondaggi segnalano lontanissimo con il 9% da Donald Trump, piazzato al 41% – sta raccogliendo via crowdfunding 300 mila dollari per uno spot audio a favore dell’ultimo prodotto della dinastia Bush da lanciare agli americani on air durante l’atto finale della stagione Nfl tra Broncos e Panthers, con l’83% dei cittadini dello Stato americano incollati davanti alla diretta televisiva (l’anno scorso 115,4 milioni di telespettatori erano davanti alla tv per la finale tra New England Patriots e Seattle Seahawks).

E oltre un milione di dollari hanno speso per spot sulle tv locali collegate al Superbowl anche gli avversari di Bush, tra cui Marco Rubio. Un tentativo complesso per entrambi (Trump avrebbe oltre dieci punti di vantaggio nei due Stati) ma che ha arricchito le tv locali, che bersagliano già da tempo gli spettatori con il viso dei candidati repubblicani. Mentre i Democrat hanno spostato dal 7 all’11 febbraio la nuova sfida in Wisconsin tra i candidati a correre per la White House. Meglio non sfidare in prime time il Superbowl..

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