Il Regno Unito andrà a votare il prossimo 4 luglio. Lo ha annunciato attorno alle diciassette Gmt di ieri, in mezzo allo sgomento e alla sorpresa generali, il Primo ministro Rishi Sunak in una Downing Street sgocciolante pioggia.
In un discorso che ha rievocato il trauma della pandemia e il suo ruolo di tutore dell’economia – a tratti reso inascoltabile da musica blaterata al massimo da un sound-system circostante assemblato in protesta – Sunak ha snocciolato le ragioni per cui i britannici dovrebbero ancora votare il suo partito dopo quattordici anni di incubi. Le elenchiamo sommariamente e in ordine sparso, anche se restano tutti saldamente nel seminato della solita, paranoide sicurezza: il mondo non è mai stato tanto pericoloso dalla Guerra fredda, dopo l’Ucraina i russi invaderanno Marte mentre i cinesi ci domineranno tecnologicamente: ergo, ci vogliono mani sicure per proteggere il paese, le nostre, quelle che stanno fermando i barconi e mandano (manderanno) in Ruanda i migranti. I laburisti? Non hanno un piano, ha aggiunto nell’unica affermazione cogente dell’intervento, contrapponendosi al disossato Starmer, il quale, con un’offensiva blairiota untuosa e adulatoria, sta corteggiando il grande capitale nazionale (e gli sta avanti 20 punti).

Eutanasia dunque? Il partito è dato dai sondaggi al 23%, il punto più basso dal periglioso interludio al premierato di Liz Truss, quello che era quasi riuscito a far colare a picco il capitalismo britannico. I timidissimi segnali positivi in economia, nanocrescita e nanocalo dell’inflazione che hanno inframmezzato le ultime di settimane di notizie calamitose per la maggioranza, incluse le defezioni di alcuni dei loro deputati nelle fila laburiste, lo avrebbero indotto alla decisione. Tanto vale farla finita subito, sembra voler dire Sunak.
Oggi riapre dunque la campagna elettorale. Che sembra non esser mai finita in quella che era un tempo la casamatta della governabilità e che ha avuto elezioni nel 2015, 2017 e 2019. Come un pentapartito qualsiasi.