Internazionale

Sulla Nato a Est è scontro aperto

Sulla Nato a Est è scontro apertoLa 24esima brigata ucraina a Zolote – Wolfgang Schwan/Getty Images

Crisi ucraina Il ministro russo Lavrov: «Documento Usa minimale». Kiev: positivo il vertice di Parigi su accordi di Minsk. Putin incontrerà l’atlantico Erdogan. E la Duma discute forniture di armi al Donbass

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 28 gennaio 2022

Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, non ha avuto parole particolarmente favorevoli per il documento con cui gli Stati Uniti hanno risposto all’ipotesi formulata a dicembre dal Cremlino di un nuovo accordo globale sulla sicurezza. Il dialogo prosegue «su questioni secondarie», come ha detto Lavrov, dato che il tema principale, l’espansione della Nato nei paesi dell’est, l’Amministrazione americana lo ha escluso dalla discussione.

E PROSEGUE ANCHE il confronto sul Donbass dopo l’incontro a Parigi nel corso del quale è stato rinnovato il cessate il fuoco fra le parti. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e la sua cerchia considerano positivi gli sviluppi, a partire dal testo elaborato dagli americani: «Da parte nostra nessuna obiezione», ha detto il capo della diplomazia, Dimitro Kuleba.

Il governo è stato scosso ieri dai cinque morti e cinque feriti in un deposito di armi nella città di Dnipro. L’autore della strage è un soldato ventenne della guardia nazionale. Le ragioni di questa tragedia restano oscure, anche se le autorità hanno parlato di possibili «problemi mentali».

Per la Russia tenere aperta la trattativa è già un risultato positivo, anche se il quadro rimane preoccupante. «Oggi l’Ucraina è un giocattolo nelle mani della Nato e degli Stati Uniti, è uno strumento geopolitico usato per esercitare pressione sulla Russia», ha detto l’ex presidente Dmitri Medvedev, oggi numero due del Consiglio di sicurezza nazionale. Il messaggio di Medvedev è rassicurante: «Nessuno cerca la guerra».

ANCHE ALLA DUMA, però, è cominciato il dibattito sulla fornitura di armi alle repubbliche ribelli di Donetsk e di Lugansk, che il Partito comunista vorrebbe vedere riconosciute in via ufficiale dal Cremlino. Se non è ancora avvenuto è perché il Cremlino intende tenere aperti colloqui più ampi, all’interno dei quali l’Ucraina sono soltanto un elemento.

Un ruolo nella crisi cerca di ottenerlo il presidente turco, Receep Tayyp Erdogan. La settimana scorsa ha proposto un vertice ad Ankara con Putin e Zelensky. Ieri ha fatto sapere che vedrà i due, nei prossimi giorni, separatamente.

«LA RUSSIA NON SAREBBE saggia ad attaccare, e in quel caso la Turchia agirebbe di conseguenza». Erdogan non è un semplice osservatore. Il suo paese ha il secondo esercito della Nato per numero di uomini ,ha più di mille chilometri di coste sul Mar Nero, ha ottimi rapporti con l’Ucraina, ma è anche un cliente dell’industria militare russa e con i russi ha dovuto trattare nelle guerre in Siria, in Libia e in Nagorno Karabakh.

È difficile pensare che il tentativo conduca davvero a un risultato. Putin, però, non può fare a meno di assecondarlo, sia per il numero di dossier che condivide con Erdogan, sia per l’esigenza di coinvolgere nel dibattito il numero maggiore di interlocutori.

Ma sul piano diplomatico emerge in queste ore soprattutto un caso tedesco. La Germania ha avuto un peso significativo nella rivolta che nel 2014 ha portato alla fuga dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, ma nelle ultime settimane ha assunto un approccio decisamente più discreto.

Lo dimostra la decisione di rispondere alla richiesta di armi ricevuta da Kiev con l’invio di cinquemila elmetti, che il sindaco della capitale ucraina, Vitaly Klitchko, ha definito «ridicola», e che deve avere sollevato parecchi malumori anche a Washington, se è vero come ha scritto il New York Times che «da tempo alcuni alleati si interrogano sull’affidabilità di Berlino». Sino a questo punto la distanza che separa i due governi era stata attribuita alla presenza alla Casa Bianca di Donald Trump e alla sua scarsa intesa con Angela Merkel. Ma Trump ha lasciato da un anno, Merkel si è ritirata in autunno e le relazioni restano complesse.

Per cercare un’intesa, Joe Biden ha invitato negli Stati Uniti il successore di Merkel, Olaf Scholz. Il vertice è in agenda il 7 febbraio. Il tema centrale lo ha già svelato il portavoce del dipartimento di Stato, secondo il quale «in caso di invasione russa, in un modo o nell’altro, Nord Stream 2 sarà fermato».

AL GASDOTTO, costruito da Gazprom, sono legate le prospettive sul lungo periodo dell’industria tedesca. L’opposizione degli stati Uniti al progetto non è un mistero, vista anche la competizione con i russi nel settore energetico e in particolare nel mercato del gas naturale.

Per alcuni analisti proprio Nord Stream 2, i cui lavori sono terminati a dicembre e le cui forniture sono slittate oltre la primavera ufficialmente per questioni burocratiche, sarebbe la vera causa delle tensioni. In questo senso, una manovra militare di Putin sull’Ucraina offrirebbe agli Stati Uniti il pretesto per chiudere in modo definitivo le porte dell’Europa a un pericoloso concorrente.

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