Sul Venezuela aumenta la pressione esterna
Reportage Alimenti distribuiti casa per casa, sussidi diretti e orti urbani per sfuggire ai tentacoli del neo-liberismo Il governo chavista si misura con la piazza, mentre la destra cerca di approfittare della crisi. E di fronte al dilagare dei "golpe istituzionali" in America latina c’è chi parla di un nuovo piano Condor
Reportage Alimenti distribuiti casa per casa, sussidi diretti e orti urbani per sfuggire ai tentacoli del neo-liberismo Il governo chavista si misura con la piazza, mentre la destra cerca di approfittare della crisi. E di fronte al dilagare dei "golpe istituzionali" in America latina c’è chi parla di un nuovo piano Condor
Dal Venezuela – attualmente di turno sia alla presidenza di Unasur che del Mercosur – i governi che si richiamano al «socialismo del secolo XXI» mettono al diapason i discorsi contro l’avanzare dei «golpe istituzionali». Dall’Ecuador, Rafael Correa ha parlato anzi di «un nuovo piano Condor», riportando al presente, e nelle mutate condizioni, il piano criminale a guida Cia con cui, negli anni ’70 e ’80, i dittatori del Cono Sur si scambiavano «favori» eliminando gli oppositori senza limiti di frontiere.
Durante il suo viaggio a Cuba, il presidente boliviano Evo Morales a sua volta ha denunciato la campagna che ha come epicentro il Venezuela. Una strategia che mira anche a creare fratture nelle alleanze solidali sud-sud. «Vogliono dividere i governi socialisti – ha detto Morales -, vogliono debilitarci, attraverso l’adesione di alcuni governi del Sudamerica a questa cosiddetta Alleanza del Pacifico: per indebolire la nostra grande integrazione, la costruzione della Celac, mi ricordo le discussioni di Cuba, del Venezuela, di Lula per costruirla, e voglio continuare a pensare a un continente senza gli Stati uniti». Per questo, Morales ha invitato «le rivoluzioni democratiche a rivitalizzarsi», e i popoli ad avere memoria delle devastazioni che provocano le destre al potere. «Dobbiamo preservare la regione come una zona di pace nel mondo», ha detto il segretario generale di Unasur, Ernesto Samper, avvertendo sui rischi che implicano per il continente la crisi politica in Brasile e quella in Venezuela. Significativa la visita a Caracas del ministro degli Esteri cubano Bruno Rodriguez, che – dopo aver incontrato Maduro – ha partecipato a un evento pubblico in Piazza Bolivar e ha poi visitato alcune Misiones a cui partecipano i medici cubani.
La mediazione del Vaticano
E grande eco hanno avuto, in tutta l’America latina, le parole del papa Bergoglio, preoccupato per l’avanzare del golpe blando in diversi paesi del continente (il pontefice ha citato Argentina, Venezuela e Bolivia, ma nei giorni scorsi aveva espresso «preoccupazione» anche per il Brasile, dove l’evidenza del colpo di stato istituzionale contro Dilma Rousseff – sospesa per impeachment – è emersa anche da una video registrazione che ha portato alle dimissioni del ministro di Pianificazione di Temer, Romero Juca. Secondo un’inchiesta di Interlaces, l’88% dei venezuelani appoggerebbe la mediazione vaticana nella crisi politica.
Intanto, le destre venezuelane intensificano la campagna internazionale per spingere anche l’Organizzazione degli stati americani (Osa) a sanzionare il governo Maduro, e chiamano a raccolta altre forze d’Europa. Ieri, l’Assemblea generale – a maggioranza di opposizione, dopo le parlamentari del 6 dicembre – ha invitato a Caracas il leader spagnolo di Ciudadanos, Albert Rivera. Rivera ha criticato gli incontri avuti dall’ex presidente spagnolo Zapatero con Nicolas Maduro, schierandosi con la “linea” di Aznar, Felipe Gonzalez e con gli oltranzisti venezuelani di Voluntad Popular.
C’è modo di sfuggire al ritorno del neoliberismo in America latina? In Venezuela, gli intellettuali s’interrogano e la dirigenza chavista si misura con la proposta e la piazza. «Man mano che aumenta la pressione esterna – dice l’analista Alfredo Serrano Mancilla – diventa più difficile sfuggire dal labirinto neoliberista, che ti spinge a saltare nel precipizio. I tentacoli dell’ordine economico egemonico globale appaiono così gli unici in grado di superare qualunque emergenza». È stato così in passato e lo è ora. «Solo che, nella versione del secolo XXI, non compaiono i piani di aggiustamento strutturali. L’offerta finanziaria si presenta senza apparente contropartita, senza grandi contraccolpi. Le politiche economiche salvatrici in materia tributaria e monetaria nascondono la loro natura in forma di grandi accordi amichevoli e pericolosi, mentre si inventano nuove formule e accordi parziali apparentemente vantaggiosi per i singoli stati. L’ondata neoliberista torna approfittando del fatto che non se n’è mai andata del tutto».
Per quei paesi che, come il Venezuela, continuano a destinare oltre il 70% delle entrate ai progetti sociali, la sfida è titanica. La drastica caduta del prezzo del petrolio ha drammaticamente evidenziato i limiti di aver vissuto, forse troppo allegramente, i vantaggi lega al forte recupero nazionale del prezzo del barile, deciso da Chavez: i limiti del «modello rentista», ripetono da anni gli economisti bolivariani, tentando un recupero della produzione interna a cui vengono dedicati tutti gli sforzi.
Il ministro industriale chavista
Uno degli uomini chiave della ripresa è Miguel Pérez Abad: un industriale, da anni vicino al chavismo e ora vicepresidente dell’area Economica e ministro del Potere popolare per l’Industria e il commercio. In questi giorni, ha illustrato la ricetta economica per risalire la china: «Immaginate una famiglia che si trovi all’improvviso senza entrate, ben oltre la soglia di allarme prevista per i periodi di magra», ha detto per spiegare la drastica caduta del prezzo del petrolio che ha interessato il paese. Per farvi fronte, nel tentativo di recuperare introiti, si sono scoperti ammanchi ed evasioni gigantesche.
Per ridurle, ora il governo finanzierà le importazioni di materia prima in maniera diretta, mentre finora ha dato dollari preferenziali alle grandi imprese, che fatturavano in modo gonfiato e non corrispondente al volume di importazione.
Al contempo, si sono stanate anche le grandi imprese esportatrici che, senza pagare le tasse, dissanguavano il paese alimentando una catena di importazioni per una risorsa, come quella dei gamberoni, reperibile in grande abbondanza nel paese.
I piani sociali – ha assicurato il ministro – verranno mantenuti e rafforzati, ma istituendo sussidi diretti alle famiglie e non più ai prezzi: fermo restando una politica di controllo di questi ultimi che dovrebbe essere più incisiva di quella odierna, disattesa quotidianamente da commercianti e grandi speculatori. Per contrastare l’accaparramento illegale, è in corso un massiccio piano di distribuzione di alimenti casa per casa, mentre comitati e consigli comunali promuovono la costruzione di orti urbani.
«Nel socialismo bolivariano, chi più possiede, più deve pagare», ha detto ancora il ministro fornendo le cifre del recupero tributario fin qui effettuato. «Gli industriali conoscono il potenziale economico esistente in Venezuela – ha aggiunto – A loro, a quelli che intendono investire nel paese e non solo speculare, abbiamo chiesto di rompere il salvadanaio adesso, per guadagnare di più dopo. Non è difficile fare delle proiezioni, e gran parte di loro, anche se divergiamo nelle impostazioni ideologiche, ha promesso di collaborare».
Agli altri, ai grandi gruppi privati come la Polar di Lorenzo Mendoza, che «fanno politica attraverso l’economia» e alla Fedecamara (la locale Confindustria) il ministro ha chiesto di «correggere» il proprio atteggiamento. Poi, grafico alla mano, ha mostrato come, in tutti i momenti di crisi politica del paese e di attacco diretto dell’opposizione, la Polar abbia abbassato la produzione senza motivo.
La disoccupazione in calo
«In questi tre anni, nonostante la guerra economica, abbiamo ulteriormente ridotto il livello di disoccupazione, il più basso raggiunto negli ultimi vent’anni: tra il 7,1% e il 7,3%», ha detto il vicepresidente di Pianificazione e Conoscenza, Ricardo Ménendez. Statistiche che indicano anche la diminuzione degli impieghi informali rispetto a quelli stabili (39,7% contro 60,3%). Dall’inizio del chavismo, nel 1999, a oggi, sono stati creati 4.449.530 nuovi posti di lavoro, e 620.000 durante il mandato di Maduro, ovvero «in piena guerra economica».
La principale preoccupazione dei venezuelani resta però quella economica, soprattutto a causa della scarsità dei rifornimenti e dell’inflazione, che riduce drasticamente il potere d’acquisto. Gli sforzi del governo non hanno ancora dato abbastanza frutti, ha detto il presidente dell’istituto di statistica Hinterlaces, Oscar Schemel: «Il 45% dei 42 prodotti regolati non arriva nelle case dei venezuelani». E intanto, «gruppi di estrema destra, nazionali e internazionali, cercano di approfittare della situazione e cospirano per espellere il chavismo non solo dal governo, ma dalla società venezuelana. Le inchieste mostrano che esiste un piano per nevrotizzare la popolazione e per indurre comportamenti compulsivi. Ma il 70% dei venezuelani approva quel che ha realizzato l’ex presidente Hugo Chavez».
E ieri si è riunito in una speciale plenaria il Partito socialista unito del Venezuela. Quest’anno, ci saranno le elezioni regionali e quelle municipali.
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