Anche Bankitalia avanza dubbi sul taglio delle tasse sulla prima casa annunciato dal governo Renzi. La revisione dei criteri sarebbe la quinta in sette anni e potrebbe «indurre le famiglie a non reputare lo sgravio ora programmato come permanente». Lo ha detto ieri il vice direttore generale di Bankitalia, Luigi Signorini, nel corso delle audizioni delle commissioni Bilancio di Camera e Senato, sulla nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza. Per produrre un effetto reale sulla crescita per Via Nazionale è necessario il taglio del costo del lavoro. La misura è in realtà prevista dal governo nel 2018 all’interno di una strategia di avvicinamento alle elezioni politiche: prima vengono gli sgravi fiscali sulla proprietà, poi quelli sugli utili dell’impresa (2017), infine sull’Irpef. Un’operazione triennale da circa 45 miliardi iniziata con il bonus degli 80 euro concessi ai dipendenti fino a 26 mila euro annui e che proseguirà con l’abolizione della componente lavoro dal calcolo della base imponibile dell’Irap nel 2017. Il dubbio è sulla successione di questi interventi. La maniera «più diretta» per dare una stampella alla crescita (stimata tra lo 0,7 e lo 0,9% del Pil) è quello del taglio delle tasse sul lavoro. Il cronoprogramma renziano andrebbe rovesciato all’interno di un quadro in cui alle imprese è stato dato il beneficio degli sgravi contribuitivi per i neo-assunti del Jobs Act. La valutazione della manovra da parte di Bankitalia resta prudente.

Si resta in attesa di conoscere il vero testo di una manovra che ha già ricevuto un cartellino giallo da parte dell’Unione Europea, favorevole agli sgravi fiscali sul costo del lavoro e non su quelli della casa. L’idea è tassare meno le persone, aumentando il fisco sulla proprietà, gli immobili, i consumi. Un’impostazione respinta da Renzi che ha risposto a muso duro agli «euroburocrati di Bruxelles». Una risposta della serie «siamo padroni a casa nostra», ma che non si sofferma sul problema sollevato da Bankitalia: se si vuole la crescita bisogna tagliate le tasse sul lavoro. Il governo, invece, è proiettato altrove: la crescita dipende dall’aumento dei consumi generato dal taglio delle tasse sulla prima casa. Questo taglio rischia di produrre un problema di sostenibilità dei servizi degli enti locali e delle regioni. È la stessa Bankitalia a sollevare questa perplessità, con il consueto linguaggio paludato. Bisogna tenere conto dell’impatto «sull’efficienza del sistema della finanza locale e sui servi erogati dagli enti locali, dal miglioramento del clima di fiducia nelle prospettive future dell’economia che potrebbe essere introdotto dall’aumento della spesa delle famiglie». La fiducia dei consumatori, attesta l’Istat, è rinvigorita, ma ciò non basta a eliminare un’altra incognita: non tutti i proprietari di casa userebbero il reddito liberato dalle tasse per consumare. «L’evidenza empirica – ha spiegato Bankitalia- suggerisce che i consumi direttamente influenzati dallo sgravio potrebbero essere circoscritti alle famiglie soggette a vincoli di liquidità». Per dare una parvenza di coerenza a questo taglio pieno di incognite la banca centrale sollecita il governo a varare la riforma del catasto. L’aggiornamento del catasto «potrebbe rendere disponibili risorse da utilizzare, a parità di gettito». L’intervento eviterebbe il rischio di eliminare le tasse a chi possiede un attico in centro, così come a chi ha un monolocale in una periferia senza servizi. Ma questa operazione sembra ancora lontana, mentre Renzi ha fretta di fare bingo. Per Bankitalia la crescita resterà stabile anche per l’anno prossimo e i contraccolpi della crisi cinese non dovrebbero influenzarla al ribasso. «Difficili da quantificare» gli effetti del «Dieselgate» Volkswagen sulle aspettative degli investitori e dei consumatori, anche se aggiungono un ulteriore fronte di preoccupazione «all’incertezza presente sui mercati globali». Il governo è stato invitato a diminuire il debito pubblico in crescita da otto anni.

Renzi e Padoan sono concentrati su una prospettiva di più breve periodo. Stanno trattando con Bruxelles per ottenere 17 miliardi di euro in flessibilità dalla Commissione. La legge di stabilità, sgravi compresi, dipende da questa cifra sulla quale fino ad oggi non c’è certezza. Sarà questioni di giorni, ma Renzi ritiene di doverla usare al massimo. Le incognite di questa operazione sono state riassunte ieri da Giuseppe Pisauro, presidente dell’Ufficio Parlamentare di bilancio in un’altra audizione sul Def. «Il governo annuncia una spending review più graduale» a fronte di «misure aggiuntive che comporteranno un peggioramento permanente dei saldi» coperte «grazie a maggiori margini di flessibilità» che però «non sono permanenti». I 17 miliardi della flessibilità sul decifit valgono, al momento, solo per un anno, mentre Renzi pensa di andare avanti per un triennio. Come finanzierà gli sgravi dal 2017 in poi? Con la spending review, a cominciare dalla Sanità. Altro discorso è se riuscirà a incassare quello che ha promesso da questi tagli.