Adolfo Urso, presidente del Copasir, non largheggia in smentite. Da ex giornalista sa bene che smentire significa amplificare. Stavolta però non si è potuto trattenere: quella specie di lista nera di presunti disinformatori prezzolati da Mosca pubblicata dal Corriere della Sera domenica gettava un’ombra troppo spessa sul comitato parlamentare di controllo sui servizi. Nomi messi insieme alla rinfusa, senza specificare su quali fondamenta poggi per ciascuno il sospetto di parlare in televisione o sugli altri media in conto terzi, in compenso con tanto di foto. Se non si tratta proprio di una lista di proscrizione, definizione iperbolica, qualche somiglianza innegabilmente c’è.

LA NOTA DI URSO cerca di non calcare troppo i toni ma l’irritazione trapela da ogni parola e da ogni virgola, tanto più che, secondo un modo di procedere purtroppo già sperimentato, il documento dei servizi saccheggiato dal quotidiano di via Solferino è arrivato sul suo tavolo solo ieri mattina, dunque almeno un paio di giorni dopo che la primizia era stata consegnata da chissà chi alla stampa amica. «Il Copasir – specifica il presidente Urso – rileva di non aver mai condotto proprie indagini su presunti infuencer e di aver ricevuto solo stamattina un report che, per quanto ci riguarda, resta classificato».

Urso sottolinea che il Comitato «non ha poteri di indagine» e «agisce sempre con il vincolo della segretezza a cui rigorosamente si attiene». Insomma, la gola profonda non viene di lì e anzi la nota termina auspicando che «soprattutto su questa vicenda, vi sia sempre una corretta attribuzione e riconoscibilità delle fonti». Parole calibrate: nella versione cartacea del quotidiano milanese vengono indicati come fonte i servizi segreti, in quella online proprio il Copasir.

NON CHE IL PROBLEMA sia solo la fuga di notizie. A destare le ire del Copasir è la faccenda in sé. Il comitato ha sì attivato l’indagine conoscitiva su disinformazione, ingerenze straniere e minaccia cibernetica, e per questo sarà la settimana prossima a Washington. Ma senza alcuna intenzione di sparare liste di nomi tanto più se alla cieca mettendo insieme figure diversissime e facendole passare come «rete» senza peritarsi di supportare il pesante sospetto con prove di sorta. «Non è che se uno pensa che Mosca abbia ragione non possa dirlo. Il problema si pone solo se qualcuno è pagato per dire quelle cose oppure mente scientemente per disinformare», fanno notare al Copasir.

IL LEGHISTA Raffaele Volpi, anche lui del Copasir è furibondo: «Leggo sconcertato di attività del Copasir che non rispondono a verità». «Non facciamo liste di proscrizione ma un’indagine conoscitiva. Sono sorpresa che siano usciti pubblicamente questi nomi», rincara la vicepresidente 5S del Comitato Federica Dieni. Si smarca invece il Pd Enrico Borghi, in stretta coerenza con la strada iperbellicista imboccata dal suo partito: «Contrastare la disinformazione, la guerra non convenzionale è un dovere per difendere la democrazia». Sul fattaccio del listone preferisce glissare.

Non sorvola invece Giuseppe Conte, imbufalito come tutti i 5 Stelle: «È indegno che si facciano liste di proscrizione mettendo le foto ed estraendo frasi dalle opinioni espresse». Non chiude un occhio neppure l’ex presidente della commissione Esteri del Senato Vito Petrocelli, citato nella lista: nonostante la smentita di Adolfo Urso chiede chiarezza sull’operato del Copasir e medita querela contro il Corriere della sera.

Insomma la guerra è guerra, faccenda tragicamente seria. Ma l’Italia è sempre l’Italia e dunque anche a fronte di una guerra si produce in un classico pasticcio all’italiana, uno di quegli acquitrini dove pullulano le indiscrezioni fatte filtrare non si sa da chi, i giornali che sparano nomi a raffica, i servizi che non si capisce in base a quale logica passino le carte segrete, se seguendo una qualche strategia oppure no.

MOLTO MENO da strapaese, date le possibili conseguenze, l’altro fronte della guerra, quello delle ben poco velate minacce russe. Ieri la Farnesina, su indicazione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha convocato l’ambasciatore russo Sergej Razov, ricevuto dal segretario generale ambasciatore Ettore Sequi che ha respinto col dovuto sdegno sia le accuse di «amoralità» che quelle di una campagna anti-russa in Italia. «La linea dei media italiani difficilmente può essere qualificata altrimenti che ostile», ha ribadito il russo invocando «moderazione ed equilibrio» in nome dei «rapporti positivi e di cooperazione tra i due popoli». Parole diplomatiche che non mascherano la realtà di rapporti al minimo storico e che per ora non sono destinati a migliorare.