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Sui migranti si prepara il futuro dell’Unione

Un gruppo di migranti ad Edirne, sul confine tra Grecia e Turchia ApUn gruppo di migranti ad Edirne, sul confine tra Grecia e Turchia – Ap

Patti e muri Aver scelto di competere sul terreno del razzismo e della riduzione dei diritti, con Orban, Le Pen, Salvini e Meloni, cioè con i conservatori e l’estrema destra, da parte di coloro che dichiarano di volerle arginare, rappresenta un regalo ingiustificato ad una cultura che è diventata egemone al di là di ogni nesso con la realtà

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 6 giugno 2024

La resa alle destre xenofobe da parte delle cosiddette grandi famiglie politiche europee, con qualche defezione interna (tra queste, per fortuna, il Pd che non ha votato il Patto Europeo su migrazioni e asilo), è davvero una tragedia per l’Ue e può rappresentare la pietra tombale per il suo futuro.

Popolari, socialisti e liberali europei, quindi la quasi totalità delle maggioranze che governano i Paesi dell’Ue e la maggioranza dell’attuale Europarlamento, hanno deciso di investire principalmente su due direttrici in materia di immigrazione e diritto d’asilo: esternalizzazione delle frontiere e detenzione amministrativa come strumento ordinario di gestione dei flussi migratori.

La lettera rivolta da 15 dei 27 governi alla Commissione europea per chiedere, oltre a quelle già contenute nel Patto, ulteriori misure volte a promuovere la dimensione esterna delle politiche migratorie – ossia trasferire sui paesi extra Ue le nostre responsabilità in materia di diritti umani e diritto internazionale – è la dimostrazione che al peggio non c’è mai fine. Aver scelto di competere sul terreno del razzismo e della riduzione dei diritti, con Orban, Le Pen, Salvini e Meloni, cioè con i conservatori e l’estrema destra, da parte di coloro che dichiarano di volerle arginare, rappresenta un regalo ingiustificato ad una cultura che è diventata egemone al di là di ogni nesso con la realtà.

Definire sicuri Paesi dove si pratica la tortura e dove l’opposizione politica viene regolarmente fatta oggetto di persecuzione, in nome della difesa delle frontiere significa negare i principi basilari delle democrazie.

Per quale ragione le frontiere andrebbero difese da persone che si presentano spontaneamente alle autorità dei Paesi dell’Ue per chiedere protezione? In che modo queste persone possono attraversare le frontiere in maniera legale e sicura? Vorremmo fare queste domande al nostro governo e agli altri che hanno firmato quella lettera, sapendo che non troverebbero argomentazioni per rispondere, perché le ragioni della propaganda non consentono spiegazioni.

In questo quadro il nostro Paese ha assunto un ruolo guida, su questo Meloni ha ragione. Le iniziative promosse dall’Italia, non da sola, hanno determinato un effetto valanga che sta di fatto travolgendo tutta l’Ue. L’accordo con la Tunisia di Saied non è nuovo ma rappresenta, come quello con la Turchia di Erdogan, la negazione del diritto internazionale: facciamo fare a qualcun altro ciò che i tribunali interni ed internazionali ci impedirebbero.

Il tentativo neo coloniale di usare il territorio albanese per impedire a chi fugge dalle violenze della Libia o dalle persecuzioni della Tunisia di approdare in Italia, è una novità che, al di là dei costi esorbitanti e della dubbia efficacia, che verificheremo presto, rappresenta soprattutto una indicazione culturale prima che politica.

Queste misure italiane, come le altre messe in campo da altri governi, come quelle richiamate nella lettera dei quindici Paesi o scritte nel nuovo Patto europeo, hanno un effetto sulle opinioni pubbliche dell’Ue proporzionale all’assenza di alternative altrettanto forti, che le forze democratiche non sembrano in grado di sostenere perché incapaci di una visione giusta e praticabile. Nei prossimi giorni la Commissione europea presenterà il piano per implementare in ogni Paese il Patto approvato in via definitiva lo scorso 14 maggio. Entro gennaio del 2025 i singoli governi dovranno approvare un piano nazionale.

La società civile, i movimenti e le organizzazioni sociali dovranno fare ogni sforzo per monitorare questo processo, portando in piazza le ragioni dell’Europa dei diritti e dell’accoglienza, rivolgendosi ai tribunali per denunciare e ostacolare le misure discriminatorie e illegittime e costruendo una vasta alleanza capace di far emergere un’alternativa possibile.

In questo processo anche le elezioni europee sono un passaggio determinante e, qualunque sia l’esito, dopo il 9 giugno, sperando in una battuta d’arresto delle forze di destra, sarà importante vigilare sulla coerenza di programmi e candidati, cercando di pesare sulle scelte che verranno fatte a livello nazionale ed europeo nell’avvio della nuova legislatura.

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