Draghi non si ferma. Dopo la forzatura impressa con la riunione fuori programma del cdm di giovedì, ieri si è rivolto direttamente alla presidente del senato Casellati: Nel rispetto delle prerogative parlamentari, senza una sollecita definizione dei lavori del senato» e senza «una rapida approvazione del ddl Concorrenza entro la fine di maggio sarebbe insostenibilmente messo a rischio il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr».

Il doppio messaggio è tassativo: il ddl deve passare o con quell’accordo che la maggioranza non è riuscita a trovare in cinque mesi oppure così com’è, senza modifiche, con la fiducia.

I partiti bastonati dal premier, Lega e Fi, capiscono l’antifona e abbassano i toni: «Troveremo un accordo come sul catasto. Penso che sia a portata di mano anche senza fiducia», minimizza Salvini. «Volevamo un po’ di tempo in più ma ci sono giorni sufficienti, se dall’altra parte ci saranno razionalità e buon senso, per fare tutto entro la fine di maggio», tranquillizza Berlusconi.

Dall’«altra parte», però, i toni restano accesi.

Il 5S Turco, che non è un senatore qualsiasi ma l’uomo più vicino a Conte, dirama una lunghissima nota il cui senso è però secco: «È arrivato il momento di dire basta al regime delle proroghe che ancora alcune forze politiche proponevano. Il tempo dei piccoli tornaconti elettorali è finito».

Con Draghi pronto a mettere la fiducia sul testo senza modifiche, che ai 5S va benissimo, il partito di Conte mira a far pagare all’ala destra della maggioranza, ma anche al Pd, il dazio più pesante possibile.

È una mossa potenzialmente pericolosa per la tenuta del governo. Per Lega e Fi votare il testo senza modifiche significherebbe ingoiare un boccone amarissimo. Ma probabilmente ha ragione il ministro Brunetta quando sentenzia che «non si va alla crisi di governo per una limatura della parte del ddl sulle concessioni balneari».
Non si può dar torto al ministro della Pa, ma la sua stessa argomentazione pone qualche domanda sulla strategia adottata da Draghi.

Da palazzo Chigi assicurano che non c’è alcun calcolo ma solo l’urgenza di varare un provvedimento «fondante» per il Pnrr.

Certamente vero ma per raggiungere quel traguardo non era necessario seminare il panico con un cdm straordinario e poi mettere pubblicamente fretta alla presidente del Senato con una lettera resa peraltro nota proprio da Chigi.

La drammatizzazione risalta ancora di più se messa a paragone con le abitudini del premier, che tende sempre a stemperare la tensione e ignora come punture di zanzara le critiche della sua maggioranza alla gestione della crisi ucraina, anche quando diventano fragorose. Basti pensare al Berlusconi che ieri si è scagliato contro l’invio di armi all’Ucraina e anzi chiede che l’Europa spinga Kiev ad accettare le condizioni di Putin.

Draghi non teme quelle scosse. È convinto che nessuno voglia e possa arrivare alla crisi di governo, né sulla guerra né su nessun altro fronte fibrillante. In compenso teme il rallentamento, la palude, la dilazione.

La sola preoccupazione, a palazzo Chigi, è per il Pnrr. Entro la fine di giugno dovranno essere stati raggiunti 45 obiettivi per sbloccare la seconda tranche del fondo europeo, altri 55 saranno necessari entro la fine dell’anno per la terza rata.

Ma l’Italia è in ritardo. Sconta l’eterno problema dell’incapacità di spendere i fondi a disposizione. È appesantita dall’impennata dal costo delle materie prime. E il premier sa benissimo che le dilazioni e i rinvii legati alla campagna elettorale in vista delle prossime politiche potrebbero dare il colpo di grazia.