Gli Appennini sono l’ambito territoriale nazionale fondamentale per vincere la sfida del cambiamento climatico e rappresentano uno spazio politico e progettuale decisivo per il nostro Paese» spiega Legambiente nel rapporto «Un’agenda per la transizione ecologica e climatica degli Appennini», presentato a Pescasseroli (Aq) il 10 dicembre, in occasione dell’International Mountain Day delle Nazioni Unite. È una considerazione dettata dall’analisi dei dati: gli Appennini che sono la catena montuosa più estesa del Paese, un sistema ambientale che si sviluppa per 1.300 chilometri e interessa 9,4 milioni di ettari, pari al 31% del territorio nazionale. È la montagna abitata per eccellenza, che interessa 14 Regioni, 48 province e 2.157 comuni (il 27% del totale) per la gran parte piccoli o piccolissimi, nei quali vivono tuttavia ben 9,9 milioni abitanti, cioè il 17% della popolazione totale del Paese (tra il 1990 e il 2021 ha mantenuto la stessa popolazione grazie al contributo di 730mila immigrati che hanno ripopolato il territorio). È anche per questo che gli Appennini non possono essere considerate montagne di serie B, una visione indotta fin dagli anni della scuola, con le lezioni di geografia spese a classificare le montagne in base alla loro altitudine (la più alta degli Appennini, il Corno Grande del Gran Sasso d’Italia, non raggiunge i tremila metri, fermandosi a 2.912).

PER RIMARCARE L’IMPORTANZA degli Appennini, Legambiente s’impegna da qualche anno per organizzare un Forum degli Appennini, appuntamento giunto alla quinta edizione e realizzato in collaborazione con il Parco nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise, Uncem, Green Communities e Symbola. L’appuntamento del 2022 è dedicato alla sfida dell’«Appennino contemporaneo», cioè a capire in che modo fronteggiare problemi e nuove sfide ambientali legati anche agli impatti della crisi climatica. Legambiente nel suo rapporto invita così a ripensare una strategia unitaria per gli Appennini, puntando in sintesi su dieci pilastri tra cui una maggiore tutela dei territori e della biodiversità entro il 2030, il coinvolgimento delle comunità, l’inserimento degli Appennini tra le reti europee di cooperazione territoriale e un miglioramento nell’accesso ai servizi. Gli Appennini hanno la percentuale più alta di protezione: il 30% del suo territorio è tutelato da 166 aree protette (parchi e riserve, nazionali e regionali), 993 siti Natura 2000 (Zone Speciali di Conservazione e Zone di Protezione Speciale), e diversi riconoscimenti Unesco (siti del Patrimonio Mondiale, Global Geoparc, Riserve della Biosfera-Mab). Questo rappresenta una ricchezza che non ingessa il territorio, dove hanno sede quasi un milione d’imprese, in particolare legate al turismo e al commercio.

Augusto Ciuffetti, professore che insegna Storia economica all’Università Politecnica delle Marche, ha dedicato all’Appennino un bel libro, uscito per Carocci. Leggerlo aiuta a comprendere la ricchezza di questo mondo: «Nell’Appennino sono maturati nel lungo periodo comportamenti e modalità lavorative (capacità di svolgere mestieri diversi nelle prospettive della pluriattività e della protoindustria), attitudini a una continua mobilità sinonimo di apertura e di crescita (transumanze e migrazioni stagionali di braccianti e artigiani) e modelli economici e sociali (centralità delle comunità di villaggio e gestione collettiva delle risorse, come pascoli e boschi, attraverso la pratica degli usi civici e dei beni comuni) assolutamente originali e alternativi agli schemi predominanti. Sono questi i connotati di una società “tradizionale” che ha permesso all’Appennino dell’Italia centrale di resistere al declino economico e al ripiegamento demografico, sinonimo di spopolamento, almeno fino agli anni Cinquanta del Novecento, quando il “miracolo economico” ha cambiato la chiave interpretativa dello sviluppo italiano, trasformando in spazi arretrati, poveri e marginali dei territori che non lo sono mai stati, almeno fino a tempi recenti» scrive Ciuffetti.
Oggi -secondo l’organizzazione ambientalista- questa società può tornare a prosperare anche attraverso la realizzazione delle green communities, uno degli obiettivi del PNRR e lo strumento «adatto per accompagnare la transizione climatica per rendere Net Zero i territori entro il 2040».

IL PNRR HA DESTINATO A QUESTE AZIONI di transizione ecologica risorse per 140 milioni di euro, partendo con un finanziamento a 3 aree pilota (le Terre del Monviso in Piemonte, Montagna del Latte in Emilia Romagna e il Parco regionale Sirente Velino in Abruzzo) e aprendo poi un bando attraverso il quale son state selezionale 35 proposte. I temi sviluppati dai progetti spaziano dalla produzione di energia da fonti rinnovabili alla gestione integrata delle risorse idriche, passando dal turismo lento e sostenibile, lo sviluppo di attività di allevamento, agricoltura e gestione forestale sostenibile.

IL RAPPORTO DI LEGAMBIENTE guarda in particolare ai progetti delle 3 aree pilota. Nell’area reggiana del Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano, un territorio che interessa 7 comuni, sarà possibile intervenire sulla salvaguardia del patrimonio agro-forestale e su nuovi modelli agricoli per realizzare produzioni sostenibili, negli allevamenti e nei campi, attraverso la diffusione di tecniche agronomiche innovative nelle aziende di un’area caratterizzata dalla filiera del parmigiano reggiano. Il progetto Green community “Parco Regionale Sirente Velino” (Abruzzo) prevede invece il miglioramento nella governance dei processi di gestione delle risorse naturali, il sostegno all’efficientamento energetico del patrimonio edilizio; la creazione di una rete di mobilità sostenibile con snodi, aree di scambio e sistemi di gestione del patrimonio agro-forestale, con modelli di implementazione della cattura del carbonio e gestione dei relativi crediti ambientali. Il progetto Terre Monviso, in Piemonte, prevede tra le principali attività la creazione di un progetto di housing sociale, coniugando la natura turistica della montagna con un nuovo approccio di abitabilità permanente ovvero destagionalizzata.

Sono insieme di azioni che rafforzano la visione di un Appennino contemporaneo, che per essere più forte ha bisogno, secondo Legambiente, di un nuovo «patto di mutualità tra le comunità locali e le grandi città, tra chi cura il capitale naturale e chi ne utilizza i servizi ecosistemici generati». L’Appennino è interesse di tutti, non solo dei montanari.