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«L’Europa sbaglia sui lupi»

«L’Europa sbaglia sui lupi»

Lupi I casi problematici sono rari, ma la loro risonanza è enorme rispetto al loro significato ecologico

Pubblicato 21 minuti faEdizione del 3 ottobre 2024

La prima settimana di settembre una fototrappola posta nel Parco del Ticino, nella zona che dal Magentino scende a Pavia, ha restituito le immagini di quattro cuccioli di lupo; la specie era già stata avvistata nella zona, ma la sua riproduzione nel territorio protetto del Parco rappresenta una novità assoluta. La dottoressa Olivia Dondina segue le vicende del lupo nel Ticino fin dall’inizio per il Dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano -Bicocca.

Quando e perché il lupo è tornato nel Parco del Ticino?
Ci siamo accorti che il lupo era tornato nel 2017 per la predazione di una pecora, ma sicuramente il territorio del Parco del Ticino era usato come corridoio ecologico da prima: nel 2012 un giovane maschio in fase di dispersione fu investito da un’auto a Somma Lombardo (Va). Il Parco del Ticino è un corridoio per eccellenza essendo un territorio fluviale, nel caso del lupo fra la parte settentrionale degli Appennini, dove è abbondante, e le Prealpi, dove invece ci sono molti meno branchi. E’ probabile che comunque il lupo fosse presente ancora prima, in quanto è una specie che va dove gli è permesso, e se c’è un ambiente sufficientemente naturale e aree cosiddette rifugio non ci si accorge della sua presenza.

Da quanto tempo tenete sotto controllo il ritorno del lupo e quali dinamiche avete osservato?
Dopo l’episodio di predazione è stato attivato un piano di monitoraggio da parte di due aree protette, il Parco della Valle del Ticino lombardo e l’Ente di gestione delle aree protette del Ticino e del Lago Maggiore per la parte piemontese, e due Università, la Milano-Bicocca e l’Università di Pavia. Una collaborazione scientifica non così scontata che dura ancora oggi e che è partita in maniera spontanea, senza finanziamenti, sull’onda di un interesse da una parte scientifico e dall’altra gestionale e che si è avvalsa della collaborazione di ricercatori e studenti e soprattutto dei guardia parco. I primi lupi che abbiamo osservato erano molto probabilmente in dispersione, fenomeno che riguarda individui di 1-2 anni che lasciano il branco alla ricerca di un nuovo territorio. Erano quindi in transito. Nel tempo abbiamo notato che alcuni lupi cominciavano a trascorrere dei periodi più lunghi, anche qualche mese, in specifiche e limitate aree del Parco: sono comportamenti che fanno pensare che nel Parco i lupi trovano le condizioni ambientali adeguate, ovvero poco disturbo antropico, rifugio e prede.

E perché non si fermavano?
Non hanno trovato una compagna o un compagno, quindi data l’impossibilità di accoppiamento hanno ripreso la dispersione. Lo abbiamo visto bene con un individuo radiocollarato che proprio prima della riproduzione ha tentato varie volte di dirigersi verso Nord, verso le Prealpi, e questo è stato interessante perché ci siamo accorti che la fitta rete stradale presente rende difficoltoso il transito e quindi bisogna fare attenzione in futuro a rendere più funzionale il corridoio. La presenza di una coppia è stata rilevata per la prima volta nel 2021, ma la primavera successiva è stato trovato un lupo morto, non si sa per quale causa, e forse era uno dei membri della coppia. Nel 2023 ci siamo resi conto della presenza di un’altra coppia, con comportamenti più stabili: un territorio ben definito, zone di ronda notturne dove vanno a cacciare e da quel momento li abbiamo tenuti sotto stretta osservazione.

Quindi la nascita di questa cucciolata non vi ha colto di sorpresa.
Il monitoraggio locale è in collegamento con il monitoraggio in corso a livello nazionale. La discesa in pianura del lupo è un fenomeno che sta avvenendo su larga scala quindi ci siamo preparati per poter cogliere un evento di questo tipo. I fattori alla base di questo fenomeno sono due: fino a 15 anni fa il lupo lo si trovava solo da una certa quota in su, mentre adesso le zone montane sono sature di branchi quindi i nuovi si formano in zone più periferiche di quello che è l’areale della specie; in secondo luogo il lupo trova ora in pianura condizioni che 50 anni fa non avrebbe trovato, ad esempio l’abbondanza di una preda selvatica come il capriolo, che è stato oggetto di reintroduzione nel Parco, e la presenza del daino e di numerosi cinghiali. Il lupo quindi ha a disposizione una fauna selvatica ricca e diversificata, questo fatto è uno dei requisiti necessari affinché si stabilisca un branco.

Una notizia che in qualcuno può destare delle preoccupazioni, per esempio agli allevatori di bestiame?
Si tratta i di una notizia positiva perché dobbiamo ricordarci che il lupo in Europa era a rischio fino a pochi anni fa, la sottospecie italiana poi era quasi estinta, negli anni 70 ne rimanevano non più di 100 individui; le misure di tutela hanno dato i loro frutti, la ripresa dei grandi carnivori in Europa rappresenta un esempio virtuoso per la conservazione delle specie selvatiche in ambienti fortemente antropizzati e il lupo ha fatto tutto da solo. Ovviamente il fenomeno va gestito.

Gestire può voler dire decidere di permettere degli abbattimenti mirati?
Dipende dalle zone. Dove il lupo storicamente è sempre stato presente, come ad esempio gli Appennini centrali, il problema non si pone perché le misure di protezione delle greggi, come il cane da pastore, non sono mai state abbandonate. Diverso è il caso delle zone di nuova colonizzazione, come alcune zone delle Alpi dove il lupo si è localmente estinto già dagli anni ’40 e quindi non era più necessario proteggersi dalla sua presenza. Attualmente la gestione, che è a carico delle Regioni, si concentra proprio sulla prevenzione, fornendo strumenti, come le reti, e indicazioni per minimizzare la possibilità di predazione, oppure snellendo le procedure per l’ottenimento di rimborsi una volta accertata la predazione da parte di un lupo.

Recentemente gli Stati membri Ue hanno dato il via libera all’inserimento del lupo nell’allegato III della Convenzione di Berna, declassando «la protezione del lupo da rigorosa a semplice». Si tratta solo di un primo passo verso la riduzione dello status di protezione della specie. Lei cosa ne pensa?
Abbiamo appena raggiunto un obiettivo, penso che abbassare subito lo status sarebbe controproducente per diversi motivi: da un punto di vista ecologico andare abbattere alcuni capi per abbassare la densità di popolazione ha poco senso, perché il lupo si autoregola, ha un altissimo tasso di mortalità e dove satura la zona con branchi stabili paradossalmente abbiamo molti meno problemi: è scientificamente provato che in un branco la tensione predatoria è rivolta verso gli ungulati selvatici, perché fa parte dell’ecologia della specie. Qualche predazione «indesiderata» può avvenire ugualmente, può succedere che alcuni branchi si concentrino su un certo gregge, ma in generale la coesistenza funziona quando ci sono i branchi stabili.

Secondo i favorevoli alla modifica, consentirebbe una maggiore flessibilità nell’affrontare i casi più difficili di coesistenza tra lupi e comunità che ne hanno la necessità.
Oggi è già possibile intervenire, anche con abbattimenti nel caso di situazioni problematiche, per esempio in presenza di individui eccessivamente confidenti o di branchi che si accaniscono su greggi o animali domestici. Il problema è che la procedura per la gestione di queste rare situazioni è molto lenta. È necessario snellirla e accelerare le tempistiche di intervento: sarebbe auspicabile che questo avvenisse senza abbassare lo status di protezione. La dicitura riporta che si possano fare abbattimenti controllati «purché sia garantito il buono stato di conservazione della popolazione», il che è difficile da stabilire quando questa garanzia non è mai stata verificata in Italia e non ci sono dati, anche perché questo «buon stato di conservazione» è stato appena raggiunto. I casi problematici sono molto rari e isolati, ma dal punto di vista mediatico hanno una risonanza enorme rispetto al loro significato ecologico.

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