Kostas Charitos è abituato a non fare sconti a nessuno. Solo i suoi affetti più prossimi sfuggono, e non sempre, allo sguardo severo del commissario della polizia di Atene.

ALLO STESSO MODO, attraverso le sue indagini Petros Markaris, tra gli scrittori greci più noti e tradotti a livello internazionale e a lungo collaboratore del regista Theo Angelopoulos, ha raccontato le contraddizioni della Grecia degli ultimi venticinque anni: i fantasmi della stagione dei Colonnelli, la minaccia di un ritorno delle destre, le delusioni della sinistra, l’avvento delle politiche neoliberali, la crisi del 2008, l’incertezza ma anche il menefreghismo di una parte della popolazione.

Ora, giunto al quattordicesimo capitolo del suo percorso, Charitos deve misurarsi ne La congiura dei suicidi (La nave di Teseo, pp. 286, euro 19, traduzione di Andrea Di Gregorio) con la più stretta attualità, vale a dire con l’irrompere dalla pandemia da Covid 19. In un’Atene resa spettrale dal lockdown, dove chi non si era ancora ripreso del tutto dalla crisi e dalle conseguenze sociali della scelte imposte dalla Troika – Fmi, Ue e Bce – è ormai sull’orlo del baratro, una serie di suicidi accompagnati da lettere di denuncia contro il potere sembrano soffiare sul fuoco della protesta contro le restrizioni decise per cercare di arrestare la diffusione del virus.

«NON SUICIDI POLITICI o economici, ma suicidi che puntano alla mobilitazione politica», riflette preoccupato il commissario che vede un nesso tra questi gesti disperati e le azioni violente che alcuni hanno cominciato a compiere per sabotare le vaccinazioni contro il Covid.

Se Markaris ha tracciato da tempo una via nuova nell’intreccio tra analisi sociale e noir, al punto che i suoi romanzi hanno spesso fatto luce meglio di tanti saggi sulla turbolenta realtà greca degli ultimi anni, anche una scrittrice come Sophia Mavroudis, padre greco e madre francese, al suo esordio italiano con Stavros (e/o, pp. 216, euro 16), ha scelto proprio il poliziesco per indagare tale complesso contesto. Come Charitos, anche il commissario Stavros Nikopolidis, anch’egli in forza alla polizia della capitale greca, si muove attraverso questi anni convulsi – è protagonista di una trilogia che muove dalla crisi del 2008 e dall’emergere della minaccia di Alba Dorata -, anche se in lui è forte la memoria delle vicende passate del Paese, a cominciare dalla stagione della dittatura dei colonnelli (1967/1974) di cui il padre fu un fiero oppositore e una vittima quando lui era ancora un ragazzo.

UNA VICENDA che lo avrebbe segnato al punto di influenzare tutte le sue scelte: «Una volta diventato adulto era entrato in polizia, non tanto per garantire l’ordine quanto per porre riparo alle ingiustizie ed erigere bastioni contro tutti gli eccessi». Nei vicoli sordidi non lontani dal porto, per la sua prima indagine Stavros, un buono dal carattere difficile che fisicamente fa pensare all’Yves Montand di Z – L’orgia del potere di Costa-Gavras, dovrà dare la caccia ad un assassino tornato dal passato per consumare quella che sembra una vendetta personale.

Per molti versi decano degli investigatori greci, il commissario Bekas, una sorta di Maigret ateniese creato Ghiannis Marìs, pseudonimo del giornalista e scrittore Ghiannis Tsirimokos (1916-1979) autore di oltre quaranta romanzi rivalutati solo a decenni dalla loro prima pubblicazione, è il protagonista de Il tredicesimo passeggero (Crocetti, pp. 180, euro 16, traduzione di Nicola Crocetti). Si tratta di un’indagine costruita sul modello del giallo classico, gli eredi di un immigrato greco che ha fatto fortuna in America negli anni ’40 vengono misteriosamente eliminati uno dopo l’altro, ma che rivela un personaggio dai tratti indimenticabili che, sempre vestito di tutto punto anche quando l’estate soffoca Atene, si concede un solo momento di relax: quando ad inizio giornata legge i giornali del mattino a letto sorseggiando il caffè. Mentre comincia ad ipotizzare le piste da seguire nel caso che ha sotto mano.